Con l’ordinanza 8 novembre 2021 n. 32474, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del giudice del gravame, che, accertata la sussistenza di un unico centro di imputazione datoriale tra due società (formalmente differenti), ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore all’esito di una procedura di licenziamento collettivo attivata da una sola delle società, formalmente datrice di lavoro, condannando entrambe le società, in via solidale, alla reintegrazione del lavoratore ed al risarcimento del danno pari a 12 mensilità. Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretto il percorso logico-giuridico del giudice dell’appello, che, rifacendosi all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ha preliminarmente rinvenuto un unico centro di imputazione tra le due -formalmente distinte- società in presenza di: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa viene svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore di diversi imprenditori; conseguenza dell’accertamento di un unico soggetto datoriale è stata che la procedura di licenziamento collettivo dovesse estendersi a tutti i lavoratori dell’unico complesso aziendale scaturito dalla compenetrazione tra le strutture aziendali. In particolare, la Suprema Corte si è pronunciata anche sul dato formale su cui insistevano le società ricorrenti, per cui i dipendenti di una società venivano utilizzati a favore dell’altra mediante il ricorso al distacco e al job posting (con costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, previa risoluzione del precedente), stabilendo quanto segue: “(…) al riguardo, è sufficiente richiamare il principio di effettività, che permea il diritto del lavoro e che trova espressione in numerose disposizioni normative (v., ad esempio, il Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 27, 29 e 30 e succ. modif.; L. n. 223 del 1991, articolo 8), a cominciare dall’articolo 2094 c.c.. Si è precisato che la stessa “esigenza di individuare con precisione un unico centro di imputazione cui ricondurre la gestione del singolo rapporto di lavoro, a di là degli schermi societari ovvero di una pluralità di strutture organizzative non aventi una chiara distinzione di ruoli, risponde al dato normativo base dell’articolo 2094 c.c. che impone di individuare l’interlocutore tipico del lavoratore subordinato nella persona (fisica o giuridica) del “datore di lavoro”, e cioè di chi, di fatto detiene ed esercita i suoi poteri (direttivo e disciplinare) nei confronti della controparte dipendente” (Cass. n. 4274 del 2003 cit.); in forza di tale principio deve ritenersi che l’esistenza di titoli giuridici formalmente legittimanti l’utilizzazione da parte di una società dei dipendenti di altra società oppure lo spostamento dei lavoratori da uno all’altro datore di lavoro, non costituisca elemento di per se’ ostativo alla configurazione di un’impresa unitaria ove ricorrano indici significativi della unicità della struttura organizzativa e produttiva, dell’integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo in vista di un interesse comune, dell’esistenza di unico centro decisionale che coinvolga anche la gestione del personale o di parti di esso, oppure di una condizione di codatorialità tra gruppi genuini; sotto il profilo processuale la ricostruzione qui condivisa esclude in radice la configurabilità di un onere a carico del lavoratore, di allegazione e prova di un utilizzo promiscuo della prestazione da parte di entrambe le società; (…)”.

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