Con sentenza pronunciata a Sezioni Unite il 24 giugno 2022, la Corte di Cassazione ha risolto una questione dibattuta in giurisprudenza relativa alla sorte del procedimento di determinazione dell’assegno di divorzio, laddove nelle more sopravvenga la morte di uno dei due ex coniugi nel caso in cui sia già passata in giudicato la statuizione sullo status di divorziati.

La controversia muove da una decisione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che ha rigettato il ricorso di un ex marito volto ad ottenere la revoca della condanna al pagamento dell’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, dalla quale era già divorziato da numerosi anni. Avverso la decisione, lo stesso ha proposto impugnazione avanti la Corte d’Appello di Messina che, in parziale accoglimento della domanda, si è limitata a ridurre l’importo dovuto a titolo di assegno divorzile.

Avverso la decisione, l’ex marito ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle disposizioni sulla base delle quali la Corte d’appello aveva ritenuto sussistenti i presupposti per la conferma dell’assegno (seppur ridotto), nonché la nullità del decreto impugnato per omessa motivazione in ordine alla quantificazione della riduzione e, da ultimo per aver la Corte disposto la decorrenza della riduzione dall’emanazione del decreto e non dal deposito dell’atto introduttivo.

Nelle more del ricorso per cassazione, il ricorrente è deceduto.

Tale evento sopravvenuto ha posto la sesta sezione, ancor prima di poter affrontare i motivi di ricorso, davanti al problema posto dalla sorte del procedimento ed, in particolare, pur riconoscendo l’impossibilità per la Corte di Cassazione di dichiarare la cessazione della materia del contendere, se nel caso di specie sussistesse concretamente questa possibilità. Infatti, risulta essere oggetto di dibattito giurisprudenziale la questione se la morte del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile determini o meno la cessazione della materia del contendere, nel caso in cui egli abbia intrapreso il giudizio per la revisione dell’obbligo di corrispondere l’assegno, o se tale giudizio debba proseguire con gli eredi.

Infatti, secondo il primo orientamento il diritto al mantenimento avrebbe natura patrimoniale speciale alla luce di quanto disposto dall’art. 447 c.c., secondo il quale lo stesso è indisponibile, incedibile e con carattere strettamente personale, motivo per cui il sopravvenuto decesso del soggetto obbligato non determina la cessazione della materia del contendere, permanendo in capo al superstite l’interesse alla corresponsione delle rate scadute anteriormente alla morte. Pertanto, il procedimento per la definizione delle questioni patrimoniali non si estingue, ma prosegue alla luce dei riflessi che l’oggetto della domanda ha sulla sfera giuridica delle parti e degli eredi.

La tesi opposta, facendo leva sull’art. 149 c.c., ritiene che la morte di uno dei coniugi comporti, al contrario, la declaratoria di cessazione della materia del contendere con riferimento non solo al rapporto di coniugio ma anche a tutti i profili patrimoniali connessi, senza distinzione tra procedimenti di separazione e di divorzio. Il decesso, di fatto, travolge ogni pronuncia precedentemente emessa che non abbia ancora acquisito efficacia di giudicato. Ne consegue, che gli eredi non avrebbero la possibilità di subentrare nella posizione del de cuius per far accertare, ad esempio, l’insussistenza dell’obbligo di contribuire al mantenimento e di ottenere la restituzione di quanto versato in forza di provvedimenti non ancora passati in giudicato.

Fatte queste premesse, la Corte opera una fondamentale distinzione tra l’intrasmissibilità dell’obbligo di mantenimento ed il diritto di credito conseguente al riconoscimento dell’assegno, circostanza che determina una spersonalizzazione del credito de quo che si trasmette e confonde con la massa ereditaria.

Pertanto, la Corte conclude, dopo un breve excursus sul procedimento di divorzio (peraltro ora modificato a seguito dell’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia), sulla definizione del giudizio sullo status e sulla formazione del giudicato, nonché sul procedimento di revisione dell’assegno (anch’esso ora soggetto al nuovo rito), affermando che “il venir meno di un coniuge – sia egli l’obbligato, sia l’avente titolo all’assegno – non comporta la improseguibilità del giudizio di revisione”.

La Corte, infatti, muove dal presupposto secondo cui la sentenza sullo status è definitiva, a differenza di quella sull’assegno, rivedibile a fronte del mutamento delle condizioni, dei presupposti e di giustificati motivi. Pertanto, la domanda di accertamento della non debenza dell’assegno, nel periodo che intercorre tra la domanda ed il decesso, deve proseguire con gli eredi dell’obbligato, per permettere l’accertamento sulla non debenza ed il diritto di credito alla ripetizione dell’indebito oppure sulla debenza nel medesimo periodo e quindi sul diritto di credito dell’altro coniuge alla percezione di quanto avrebbe dovuto ricevere dall’ex coniuge sino alla sua morte.

In conclusione, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: “nel caso di procedimento per la revisione dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 9, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898, il venir meno del coniuge ricorrente nel corso del medesimo non comporta la declaratoria di improseguibilità dello stesso, ma gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione, al fine dell’accertamento della non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso, subentrando altresì essi nell’azione di ripetizione dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c. per la restituzione delle somme non dovute”.

Si segnala che, nonostante la riforma introdotta con d.lgs. 149/2022 comprendente il nuovo rito unico, la questione decisa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite rimane attuale e pienamente compatibile con la procedura ora vigente. Infatti, pur essendo stato abrogato il comma 1 dell’art. 9 L. 898/70 cui la Corte fa riferimento nel principio di diritto, il procedimento ivi previsto di modifica delle disposizioni contenute nella sentenza di divorzio rientra ora tra le fattispecie soggette al nuovo rito unico, ai sensi dell’art. 473-bis.47 c.p.c.

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