Corte di Giustizia: al singolo acquirente di un veicolo a motore diesel con impianto di manipolazione illecito è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno
14.04.2023In data 21 marzo 2023 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pronunciato un’importante sentenza riguardante il tema degli impianti di manipolazione delle emissioni da gas di scarico sui veicoli e l’azionabilità del diritto al risarcimento da parte dei singoli acquirenti.
Il caso di specie, oggetto di rinvio pregiudiziale da parte del Landgericht Ravensburg (Germania), trae origine dal ricorso per il risarcimento del danno azionato da un privato cittadino nei confronti di Mercedes-Benz Group AG, acquirente nel 2014 di un veicolo a motore diesel dotato di un software capace di ridurre il ricircolo di gas inquinanti in funzione della temperatura esterna e non conforme alle prescrizioni derivanti dal diritto dell’Unione.
In particolare, le disposizioni per le quali è stata chiesta l’interpretazione alla Corte sono contenute nella direttiva 2007/46/CE che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli, nonché nel regolamento (CE) n. 715/2007 relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri, che prevede il divieto di impianti di manipolazione all’art. 5 par. 2.
Si precisa che il regolamento (UE) 2018/858 ha abrogato la direttiva 2007/46/CE e modificato i regolamenti (CE) n. 715/2007 e 595/2009.
Il Giudice del rinvio ritiene che l’intervallo termico (software di programmazione del motore che riduce il tasso di ricircolo dei gas di scarico quando le temperature si collocano sotto ad una certa soglia con aumento delle emissioni di NOx) del veicolo del ricorrente costituisce un impianto di manipolazione illecito, poiché idoneo a ridurre l’efficacia dei sistemi di controllo delle emissioni anche in caso di normale funzionamento ed uso del veicolo. Ed in applicazione dell’art. 832 par. 2 del BGB al ricorrente potrebbe essere riconosciuto un diritto al risarcimento, norma che però presuppone la violazione di una legge intesa alla tutela di terzi.
Per tale motivo, il giudice del rinvio – senza preventivamente rinviare la controversia al collegio giudicante civile come disposto dall’art. 348 par. 3 ZPO – sottopone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
“1) Se l’articolo 18, paragrafo 1, l’articolo 26, paragrafo 1, l’articolo 46 della [direttiva quadro] in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 2, del [regolamento n. 715/2007] siano parimenti volti a tutelare gli interessi dei singoli acquirenti di veicoli a motore.
In caso di risposta affermativa:
2) Se sia parimenti ricompreso l’interesse del singolo acquirente di un veicolo a non acquistare un veicolo non conforme alle prescrizioni di diritto dell’Unione e che sia, in particolare, dotato di un impianto di manipolazione vietato ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del [regolamento n. 715/2007].
(…) 5) Se sia incompatibile con il diritto dell’Unione il fatto che l’acquirente del veicolo sia tenuto, in base alla normativa nazionale, a riconoscere un’indennità per l’uso effettivo del veicolo in caso di restituzione, da parte del costruttore, del prezzo di acquisto di un veicolo immesso in commercio con un impianto di manipolazione vietato ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del [regolamento n. 715/2007] previ consegna e trasferimento del veicolo stesso.
In caso di risposta negativa:
6) Se sia incompatibile con il diritto dell’Unione il fatto che tale beneficio derivato dall’uso venga calcolato sulla base del prezzo totale, senza operare alcuna detrazione in ragione della diminuzione di valore del veicolo determinata dalla presenza di un impianto illecito di manipolazione e/o in considerazione dell’uso non intenzionale da parte dell’acquirente di un veicolo non conforme al diritto dell’Unione.
Indipendentemente dalla risposta alle questioni pregiudiziali da 1 a 6:
7) Se l’articolo 348, paragrafo 3, della ZPO debba essere disapplicato nella parte riguardante l’emanazione di decisioni di rinvio pregiudiziale ex articolo 267, [secondo comma], TFUE, ove risulti incompatibile con il potere di rinvio dei giudici nazionali previsto da quest’ultima disposizione”.
Si precisa che la settima questione, analizzata in via preliminare, viene dichiarata irricevibile non avendo il Giudice rimettente esposto le ragioni per le quali l’interpretazione richiesta sarebbe necessaria a dirimere la controversia di cui è investito. La Corte, in ogni caso, ribadisce alcuni principi fondamentali della cooperazione con i Giudici nazionali, gli unici cui spetta in via esclusiva la valutazione sulla necessità di una pronuncia pregiudiziale, dal momento che sono coloro ai quali la controversia è stata sottoposta e devono assumersi la responsabilità dell’emananda decisione, considerato che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione godono di presunzione di rilevanza.
Prima di affrontare le prime due questioni prospettate, la Corte ha ampiamente trattato la nozione di “impianto di manipolazione” (art. 3.10 del regolamento) e la configurabilità dell’eccezione al divieto di cui all’art. 5, part. 2 let. A) del regolamento.
Il software installato sull’auto del ricorrente prevede un intervallo termico mediante il quale il ricircolo dei gas di scarico è pienamente efficace solo se la temperatura esterna non scende al di sotto di una determinata soglia: il tasso di ricircolo dei gas di scarico e, pertanto, l’efficacia del sistema di controllo delle emissioni risultano ridotte già a partire da una temperatura esterna superiore a 0 gradi Celsius, “vale a dire una temperatura che rientra nei modi che è lecito attendersi durante il normale funzionamento e il normale uso del veicolo, ai sensi dell’articolo 3, punto 10, del regolamento n. 715/2007”.
Si precisa che l’art. 5 par. 2 del Regolamento vieta l’uso di impianti di manipolazione che riducono l’efficacia dei sistemi di controllo delle emissioni, pur riconoscendo alcune eccezione, tra cui quella di cui alla lett. a) secondo la quale “l’impianto si giustifica per la necessità di proteggere il motore da danni o avarie e di un funzionamento sicuro dei veicoli”, ma l’eccezione, secondo la Corte, deve essere interpretata restrittivamente: infatti, l’efficacia del sistema di controllo delle emissioni risulta ridotta già ad una temperatura facente parte dei “modi che è lecito attendersi durante il normale funzionamento e il normale uso del veicolo” ai sensi dell’art. 3.10 del Regolamento n. 715/07.
La Corte, quindi, ritiene che un impianto come quello descritto non possa essere giustificato in base a tale disposizione, ma ricorda come spetti al giudice del rinvio procedere alle valutazioni di fatto necessarie ai fini dell’applicazione concreta dei principi esposti.
Passando alle prime due questioni poste relative all’oggetto della tutela delle disposizioni in analisi, la Corte espone che le stesse perseguono un obiettivo generale consistente nel garantire un livello elevato di tutela dell’ambiente.
Ma la Corte riconosce altresì che gli stessi testi normativi impongono che i veicoli debbano essere oggetto di omologazione, la quale “può essere rilasciata solo se il tipo di veicolo in questione soddisfa le disposizioni del regolamento n. 715/2007, in particolare quelle relative alle emissioni, di cui fa parte l’articolo 5 di tale regolamento”, nonché che i costruttori sono obbligati anche a rilasciare al singolo acquirente di un veicolo un certificato di conformità, obbligatorio ai fini dell’immatricolazione, della vendita o della messa in circolazione del veicolo.
In conclusione, la direttiva stabilisce “un legame diretto tra il costruttore di automobili e il singolo acquirente di un veicolo a motore volto a garantire a quest’ultimo che tale veicolo sia conforme alla normativa pertinente dell’Unione”.
Pertanto, “l’illiceità di un impianto di manipolazione di cui è munito un veicolo a motore, scoperta dopo l’omologazione CE per tale veicolo, può rimettere in discussione la validità di tale omologazione e, per estensione, quella del certificato di conformità che doveva certificare che tale veicolo” e “tale illiceità è quindi idonea, in particolare, a creare incertezza quanto alla possibilità di immatricolare, vendere o mettere in circolazione lo stesso veicolo e, nel tempo, a recare pregiudizio all’acquirente di un veicolo munito di un impianto di manipolazione illecito.” Risulta evidente che gli articoli oggetto dei presenti quesiti posti all’attenzione della corte tutelano, oltre agli interessi generali, anche gli interessi particolari del singolo acquirente “di un veicolo a motore nei confronti del costruttore di quest’ultimo qualora tale veicolo sia munito di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi di quest’ultima disposizione”.
Infine, per quanto riguarda la quinta e la sesta questione, relative alla possibilità per il singolo acquirente di vedersi riconosciuto un risarcimento per la violazione della direttiva quadro e del regolamento, laddove vietano l’installazione di impianti di manipolazione, la Corte rileva che le disposizioni oggetto delle prime due questioni pregiudiziali, tutelando gli interessi specifici del singolo acquirente, gli riconoscono il diritto, nei confronti del costruttore del veicolo, a che questo non sia munito di un impianto di manipolazione vietato.
Spetta però ai singoli Stati, in forza dell’art. 46 della direttiva, a determinare sanzioni applicabili effettive, proporzionate e dissuasive. Ne consegue che saranno gli stati membri a “prevedere che l’acquirente di un veicolo a motore munito di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale regolamento, goda di un diritto al risarcimento da parte del costruttore del veicolo di cui trattasi qualora detto impianto abbia causato un danno a tale acquirente.”
In conclusione, “non sarebbe conforme al principio di effettività una normativa nazionale che renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’ottenimento, da parte dell’acquirente di un veicolo a motore, di un risarcimento adeguato per danni che gli sono stati causati dalla violazione, da parte del costruttore di tale veicolo, del divieto sancito dall’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 715/2007” e, nel caso di specie, “spetta al giudice del rinvio verificare se l’imputazione del beneficio derivante dall’uso effettivo del veicolo di cui trattasi garantisca un risarcimento adeguato all’acquirente interessato, purché sia dimostrato che quest’ultimo ha subito un danno connesso all’installazione in detto veicolo di un impianto di manipolazione vietato”.
Quindi, “il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, in mancanza di disposizioni di tale diritto in materia, spetta al diritto dello Stato membro interessato determinare le norme relative al risarcimento del danno effettivamente causato all’acquirente di un veicolo munito di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 715/2007, purché tale risarcimento sia adeguato al danno subito.”
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, alla luce di quanto sopra motivato, dichiara:
1) “L’articolo 18, paragrafo 1, l’articolo 26, paragrafo 1, e l’articolo 46 della direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (direttiva quadro), come modificata dal regolamento (CE) n. 385/2009 della Commissione, del 7 maggio 2009, in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 ed Euro 6) e all’ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo,
devono essere interpretati nel senso che:
essi tutelano, oltre agli interessi generali, gli interessi particolari del singolo acquirente di un veicolo a motore nei confronti del costruttore di quest’ultimo qualora tale veicolo sia munito di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi di quest’ultima disposizione.
2) Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, in mancanza di disposizioni di tale diritto in materia, spetta al diritto dello Stato membro interessato determinare le norme relative al risarcimento del danno effettivamente causato all’acquirente di un veicolo munito di un impianto di manipolazione vietato, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento n. 715/2007, purché tale risarcimento sia adeguato al danno subito.“
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