Inidoneità del lavoratore alla mansione e soluzioni ragionevoli: l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
22.02.2022Nel caso in esame il lavoratore, ricorrente nel procedimento principale, era stato assunto in qualità di agente di manutenzione specializzato delle linee ferroviarie da parte della società, datore di lavoro esclusivo del personale delle Ferrovie belghe, e veniva avviato ad un tirocinio presso un altro ente, che opera come gestore delle infrastrutture per le precitate Ferrovie. Dopo un anno dall’inizio del tirocinio, a causa di una patologia cardiaca il lavoratore era costretto a sottoporsi ad un intervento medico di impianto di un pacemaker, apparecchio che risulta sensibile ai campi elettromagnetici generati, specie, dalle ferrovie. Il servizio pubblico di previdenza sociale belga riconosceva, dunque, la disabilità del lavoratore e, allo stesso tempo, il centro regionale per la medicina dell’amministrazione dichiarava il lavoratore inidoneo alla mansione per cui era stato assunto, disponendo le seguenti prescrizioni: un posto di lavoro con “attività media, assenza di esposizione ai campi magnetici, non ad altezze elevate o a rischio vibrazioni”. Il datore di lavoro assegnava perciò al lavoratore la diversa mansione di magazziniere, ma contestualmente avverso la decisione del servizio di medicina il lavoratore presentava ricorso, il quale veniva rigettato. La società procedeva, quindi, al licenziamento del lavoratore in applicazione dello statuto e del regolamento delle Ferrovie belghe, in base al quale soltanto agli agenti assunti in via definitiva (non quindi ai tirocinanti), in caso di inidoneità alla mansione, spetta il diritto di riassegnazione all’interno dell’impresa.
Con la sentenza del 10 febbraio 2022, pronunciata nella causa C-485/20, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ripercorso dapprima alcuni principi cardine della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ribadendo, ex pluribus, che ai sensi dell’art. 2 per “discriminazione fondata sulla disabilità” si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi campo. Esso include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole.“
Da questa premessa, la CGUE ha richiamato anche i principi della direttiva 2000/78 in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – e che in base al diritto dell’Unione Europea deve essere interpretata in conformità con la precitata Convenzione ONU – riportando l’articolo 5 rubricato “soluzioni ragionevoli per i disabili”, che recita: “per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili.”
Ciò premesso ed evidenziato che in base alla giurisprudenza comunitaria nella nozione di lavoratore rientrano anche le persone che svolgono un tirocinio o un apprendistato, la CGUE ha stabilito che: “quando un lavoratore diviene definitivamente inidoneo a ricoprire il suo posto di lavoro a causa di una sopravvenuta disabilità, la sua assegnazione a un diverso posto di lavoro può rappresentare una misura appropriata nell’ambito delle “soluzioni ragionevoli” ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78. Una tale interpretazione è conforme a tale nozione, che deve essere intesa come diretta all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (v., in tale senso, sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark, C-335/11 e C- 337/11, EU: C: 2013: 222, punto 54). Ciò posto, occorre osservare che l’articolo 5 della direttiva 2000/78 non può obbligare il datore di lavoro ad adottare provvedimenti che impongano un “onere sproporzionato”. A tale proposito, dal considerando 21 di tale direttiva deriva che, per determinare se le misure in questione diano luogo a oneri sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. (…) Alle luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che la nozione di “soluzioni ragionevoli per i disabili”, ai sensi di tale articolo, implica che un lavoratore, compreso quello che assolve un tirocinio post-assunzione, il quale a causa della disabilità, sia stato dichiarato inidoneo a esercitare le funzioni essenziali dal posto da lui occupato, sia destinato ad un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste, a meno che una tale misura non imponga al datore di lavoro un onere sproporzionato.”
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