Si segnala la recente sentenza n. 30985 del 27 dicembre 2017 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la quale ha ribadito che il licenziamento intimato a seguito di una contestazione disciplinare irrogata con un ritardo notevole ed ingiustificato deve ritenersi illegittimo e sanzionabile con la disciplina prevista dall’art. 18 co. 5, Legge n. 300/1970, come modificato dalla Legge n. 92/2012 (nel caso concreto, applicabile rationae temporis e per dimensioni aziendali).

In particolare, nella menzionata pronuncia, la Suprema Corte ha ribadito che la contestazione disciplinare tardiva è illegittima perché incide sul legittimo affidamento maturato nel tempo dal lavoratore in ordine alla circostanza che il fatto ascrittogli non è ritenuto dal datore di lavoro sanzionabile. In tale modo, precisa sempre la citata sentenza, il datore di lavoro viola infatti i criteri di correttezza e buona fede contrattuali previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c. per i seguenti motivi: “(…) se da una parte rileva l’interesse del datore di lavoro al funzionamento complessivo dell’impresa, dall’altra anche il datore di lavoro è tenuto all’osservanza di quei fondamentali precetti che presiedono all’attuazione dei rapporti obbligatori e contrattuali e che sono scolpiti negli artt. 1175 e 1375 c.c., vale a dire i precetti di correttezza e buona fede, quanto mai importanti nell’esercizio del potere disciplinare atto ad incidere sulle sorti del rapporto e sulle relative conseguenze giuridiche ed economiche, ragion per cui deve essere improntato alla massima trasparenza. Quindi, se il datore di lavoro viola tali doveri, ritardando oltremodo e senza un’apprezzabile giustificazione la contestazione disciplinare, il problema non è più quello della violazione dell’art. 7 Statuto dei Lavoratori, quanto piuttosto l’altro della interpretazione secondo buona fede della volontà delle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro. Invero, posto che l’obbligazione dedotta in contratto ha lo scopo di soddisfare l’interesse del creditore della prestazione, l’inerzia del datore di lavoro di fronte alla condotta astrattamente inadempiente del lavoratore può essere considerata quale dichiarazione implicita, per facta concludentia, dell’insussistenza in concreto del suo interesse. (…)”.

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