Nel caso in esame, avente ad oggetto il licenziamento intimato ad un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, i giudici di merito avevano riconosciuto da un lato “l’accertata soppressione del posto di lavoro” cui era adibito il lavoratore e la sua “riferibilità a scelte datoriali risultate effettive e non simulate”, nondimeno, dall’altro che la società datrice di lavoro non avesse adempiuto all’obbligo di repechage, non avendo prospettato al lavoratore alcuna possibilità di reimpiego in mansioni inferiori, tale per cui era stata accertata l’illegittimità del recesso. In particolare, la società datrice di lavoro aveva erratamente ritenuto a sostegno della legittimità del proprio licenziamento che l’obbligo di repechage su di essa gravante dovesse essere strettamente limitato alle sole mansioni rientranti al livello di inquadramento rivestito dal lavoratore (7° livello CCNL applicabile), ovvero in quello immediatamente inferiore (6° livello CCNL applicabile).

Nell’ordinanza n. 31451 del 13.11.2023 la Corte di Cassazione, ribadendo l’illegittimità dell’intimato licenziamento, ha compiuto preliminarmente un preciso esame sul rapporto tra licenziamento per giustificato motivo e tutela del posto di lavoro, affermando che il datore di lavoro “prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore (cfr. Cass. n. 10018 del 2016; v. pure Cass. n. 23698 del 2015; Cass. n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019)”, quanto con “l’avallo indiretto della Corte costituzionale (sent. n. 188 del 2020) che, nel ritenere non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’Allegato A al Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 37, comma 1, n. 5), laddove prevede la possibilità di applicare la retrocessione quale sanzione disciplinare “sostitutiva” della destituzione, ha considerato proprio la richiamata giurisprudenza di legittimità, affermando che, “in ossequio alla logica del “male minore””, “la tutela della professionalità del lavoratore cede di fronte all’esigenza di salvaguardia di un bene più prezioso, quale il mantenimento dell’occupazione”.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha chiarito le “dimensioni” dell’obbligo di repechage, stabilendo che “nella specie, la mancata deduzione da parte della società circa le ulteriori posizioni di altri lavoratori eventualmente assunti in livelli di inquadramento inferiori al sesto ha anche precluso in radice qualsiasi valutazione circa la compatibilità con il bagaglio professionale del dipendente licenziato, avendo la difesa di (OMISSIS) Spa proposto la comparazione solo con i lavoratori assunti nel 6 e 7 livello; pur non potendosi pregiudizialmente negare che l’obbligo di repechage possa incontrare un limite nel fatto che il licenziando non abbia la capacità professionale richiesta per occupare il diverso posto di lavoro, tuttavia è evidente che ciò debba risultare da circostanze oggettivamente riscontrabili palesate dal datore di lavoro; diversamente ragionando si lascerebbe l’adempimento dell’obbligo alla volontà meramente potestativa dell’imprenditore, che potrebbe riservare la scelta a valutazioni che, in quanto occulte, non potrebbero essere sindacabili neanche nella loro effettività e veridicità (in termini: Cass. n. 13809 del 2017; Cass. n. 23340 del 2018); ma ciò evidentemente postula che il datore di lavoro innanzi tutto alleghi quali siano le mansioni eventualmente affidate ai nuovi assunti, anche laddove impiegati in mansioni inferiori, onde consentire al giudice del merito di verificare, sulla base di circostanze oggettivamente riscontrabili palesate dal datore di lavoro, se le capacità e le esperienze professionali possedute dal licenziato fossero davvero tali da precludergli l’utile impiego nelle mansioni, anche inferiori, cui sono stati destinati i neoassunti; tanto in coerenza con la primazia dell’interesse alla conservazione del posto di lavoro rispetto alla tutela della professionalità, salvo che, una volta prospettata al prestatore, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, l’utilizzo in compiti meno qualificanti, questi decida di non accettare la soluzione alternativa”.

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