Cassazione civile, sent. n. 3352/2024: Donazione in conto disponibile e dispensa dall’onere di imputazione
29.04.2024Con la recente sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, i Giudici di legittimità sono intervenuti sul tema della donazione in conto disponibile e la dispensa dall’onere di imputazione.
Nel caso di specie, in particolare, la Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere in merito alla lamentata erroneità della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli in merito ad un procedimento di scioglimento della comunione ereditaria, nella parte in cui, in violazione degli artt. 769 e 682 c.c. ha rigettato la domanda di un coerede di rideterminazione della quota riconosciutagli dal Tribunale, senza riconoscimento di parte della quota disponibile di un lastrico solare allo stesso pervenuto con atto di donazione dai genitori nel 1965 “in conto disponibile e con espressa dispensa dall’onere di imputazione per volontà dei donanti”.
La corte d’Appello aveva rigettato la domanda, sulla base del fatto che, successivamente alla donazione del 1965, i genitori, con testamenti pubblici del 1974 avevano lasciato la quota disponibile del patrimonio ad altra figlia e che, quindi, “successivi testamenti, pur non revocando in modo espresso quanto in precedenza previsto con la donazione, annullavano le disposizioni incompatibili, in applicazione del generale principio di conservazione delle disposizioni di ultima volontà, cosicché deve ritenersi che l’ intera quota disponibile del patrimonio dei sigg. D.D. e E.E. debba essere attribuita a C.C. per l’impossibilità di configurare una sopravvivenza neanche parziale di quanto in precedenza disposto”.
Di interesse è altresì la motivazione cui la Corte di Cassazione ha rigettato l’eccezione preliminare formulata da un controricorrente che sosteneva che la Corte d’Appello non avrebbe potuto decidere nel merito il motivo proposto, poiché formulata come domanda riconvenzionale volta a ottenere una parte della quota disponibile che, in quanto proposta per la prima volta in appello, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile in quanto tardiva.
In tema di giudizio di cassazione, la Corte precisa che la questione processuale concernente l’ammissibilità dell’appello non valutata dal giudice di secondo grado non può essere rilevata d’ufficio dalla cassazione potendo essere esaminata soltanto a fronte di uno specifico motivo di ricorso che censuri l’error in procedendo.
A tal fine si richiamano i due diversi indirizzi giurisprudenziali sul tema.
Il primo (cass. Civ. n. 6762/2021) ritiene che la pronuncia d’ufficio del giudice di primo grado su una questione processuale per la quale è prescritto un termine di decadenza o il compimento di una determinata attività deve avvenire entro il grado del giudizio nella quale essa si è manifestata; e qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare d’ufficio sulla questione processuale resta precluso l’esercizio del potere di rilievo d’ufficio sulla stessa questione nei gradi successivi ove la questione non sia stata oggetto di impugnazione o non sia stata ritualmente riproposta, essendosi formato un giudicato implicito interno (principio di conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame, art. 161 c.p.c.).
Il secondo, invece, ritiene che una pronuncia di primo grado che, senza affermare espressamente l’ammissibilità di una domanda riconvenzionale, rigetti la stessa per ragioni di merito, non implica alcuna statuizione implicita sull’ammissibilità di tale domanda; ne consegue che in tale ipotesi il giudice di secondo grado conserva, anche in assenza di appello incidentale sul punto, il potere e quindi il dovere di rilevare d’ufficio l’ inammissibilità di detta domanda e l’omissione di tale rilievo è censurabile in cassazione come error in procedendo (Cass. Civ. n. 7941/2020).
Passando poi alla trattazione del motivo di ricorso principale, la Corte, dichiarandolo fondato, ha ritenuto necessario precisare la natura della molteplicità di istituti che concorrono nel caso di specie.
Innanzitutto, la donazione in conto disponibile con dispensa dall’imputazione è un’attribuzione che si aggiunge a quanto spetta al beneficiario a titolo di legittima. Tale genere di donazione, pertanto, si incorpora nella quota di legittima aumentandone il valore.
Inoltre, la disposizione con cui il donante regolamenta la donazione in conto disponibile e con dispensa dall’imputazione, anche se contenuta nell’atto di donazione, è destinata a produrre effetti solo post mortem, quale atto di ultima volontà e nettamente distinta dalla donazione, atto inter vivos.
Pertanto, la dispensa dall’imputazione costituisce un negozio autonomo rispetto alla donazione, motivo per cui la dispensa può essere indifferentemente effettuata nello stesso atto di donazione, come anche in un successivo atto tra vivi o in un testamento (cfr. Cass. Civ. n. 22097/2015); ad un tanto non osta la qualificazione della dispensa quale clausola accessoria al contratto, non eliminabile ex post per la volontà di uno solo dei contraenti (cfr. Cass. Civ. n. 14590/2003).
Infine, la Corte precisa che, che, “anche nel caso in cui sia contenuta nella donazione, la dispensa dall’imputazione mantiene la sua natura di atto unilaterale di ultima volontà sempre revocabile in forza del principio posto dall’art. 671 cod. civ., senza assumere struttura bilaterale così da potere essere sciolta solo per mutuo consenso.” Se, al contrario, si ritenesse che l’accettazione del beneficiario sia estesa anche alla dispensa dall’imputazione tanto da renderla irrevocabile unilateralmente da parte del donante, si configurerebbe un patto successorio istitutivo: si tratterebbe di un accordo tra futuro dante causa e futuro erede avente ad oggetto la futura successione con riguardo all’assetto delle attribuzioni di legittima e disponibile, in violazione dell’art. 458 c.c..
Un tanto premesso, con riferimento alla sentenza impugnata, la Corte di Cassazione ha concluso ritenendo che la Corte d’Appello di Napoli ha errato nella parte in cui ha ritenuto che i successivi testamenti avessero “annullato” la precedente dispensa dall’imputazione, pur senza richiamarla espressamente. Infatti, ai sensi dell’art. 564 co. 2 c,c,, la dispensa dall’imputazione deve essere espressa e non desumibile implicitamente, caratteristiche che deve necessariamente avere anche la relativa revoca, in quanto atto successivo e di contenuto contrario.
Inoltre, i giudici di appello non hanno considerato che concretamente la clausola di dispensa dall’imputazione di cui alla donazione del 1965 non era incompatibile né pregiudicava la sua contemporanea esecuzione con le successive donazioni e disposizioni testamentarie, circostanza che avrebbe giustificato l’applicazione dell’art. 682 c.p.c..
In conclusione, in accoglimento del motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata limitatamente al capo che ha statuito l’annullamento della previsione che la donazione fosse in conto disponibile con dispensa dall’ imputazione da parte dei testamenti successivi, con assorbimento del secondo motivo, accompagnando la decisione con il seguente principio di diritto: “La disposizione del donante secondo la quale la donazione è eseguita in conto di disponibile con dispensa dall’ imputazione, seppure contenuta nella donazione, costituisce negozio di ultima volontà, come tale revocabile dal suo autore. La successiva revoca della dispensa dall’imputazione, così come la dispensa dall’imputazione ex art. 564 co. 2 cod. civ., deve essere espressa e l’attribuzione per testamento della disponibile ad altro erede non comporta annullamento della precedente dispensa dall’ imputazione della donazione ai sensi dell’art. 682 cod. civ. nel caso in cui le disposizioni siano di fatto compatibili in quanto il valore della donazione con dispensa dell’imputazione sia inferiore a quello della disponibile”
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