La clausola claims made (ossia “a richiesta fatta”), caratterizzante i sistemi di Common law a partire dagli anni ’80 ed invalsa successivamente anche nella prassi dei sistemi di Civil law e così nell’ordinamento giuridico tedesco ed italiano, costituisce una tipica clausola negoziale utilizzata nei contratti assicurativi inerenti la responsabilità civile, che si caratterizza per il fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza. La clausola in parola, costituente una deroga al tipico schema denominato loss occurrence (ossia “insorgenza del danno”) – sul quale si è conformato il modello delineato nell’art. 1917 c.c., per il quale la copertura opera in relazione a tutte le condotte generatrici di domande risarcitorie insorte nel periodo di durata del contratto – può peraltro manifestarsi secondo due forme negoziali:

–          Clausola claims made pura: in tale ipotesi, l’assicuratore tiene l’assicurato indenne dalle richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato al danneggiante e da quest’ultimo all’assicuratore nel periodo di vigenza del contratto, indipendentemente dal momento in cui il fatto illecito si è materialmente verificato;

–          Clausola claims made mista o impura: in tale evenienza, la copertura assicurativa opera soltanto quando sia il fatto illecito che la richiesta di risarcimento intervengono nel periodo di vigenza del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi, ai fatti verificatisi anteriormente;

Ebbene, in una recente sentenza pronunciata nel mese di gennaio e pubblicata a maggio del 2016, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito una volta per tutte che – in linea generale – la clausola claims made in parola, in quanto mira a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, è volta a stabilire quali siano i sinistri indennizzabili, venendo a delimitare l’oggetto e non la responsabilità ai sensi dell’art. 1341 co. 2 c.c. Quanto precede, spingendosi sino ad enunciare il seguente principio di diritto: “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (cd. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.”

Con il principio di diritto ora citato, pur sancendone il carattere non vessatorio, la Suprema Corte ha voluto però mettere in guardia gli operatori economici dalla possibile sussistenza di profili di immeritevolezza della clausola claims made mista o impura, in tutti quei casi in cui la stessa preveda l’esclusione dalla copertura assicurativa di un sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto, ma la cui richiesta di risarcimento sia stata proposta per la prima volta dopo la scadenza della polizza (atteso che, in casi siffatti, verrebbe a mancare in danno dell’assicurato il rapporto di corrispettività fra pagamento del premio e diritto all’indennizzo).

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