Con sentenza del 08.03.2022, la Corte di Giustizia, Grande Sezione, si è espressa in merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesverwaltungsgericht Steiermark (Tribunale amministrativo della Stiria) inerente all’interpretazione dell’art. 20 della direttiva 2014/67/UE, sull’applicazione della direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi.

La decisione ha, come si vedrà, una portata applicativa potenzialmente molto estesa e merita, pertanto, un’attenta disanima.

La domanda veniva proposta nell’ambito di una controversia tra una società austriaca e l’autorità amministrativa distrettuale locale in merito alla sanzione pecuniaria inflitta da quest’ultima per la violazione di alcune disposizioni austriache in materia di distacco dei lavoratori. In particolare, il diritto austriaco prevede che, in caso di inosservanza di obblighi in materia di diritto del lavoro relativi alla dichiarazione di lavoratori ed alla conservazione di documentazione salariale, siano irrogate sanzioni pecuniarie, di importo elevato, non inferiori ad un importo predefinito, cumulative per ciascun lavoratore interessato, con previsione di un contributo spese pari al 20% dell’importo. Tale disciplina sanzionatoria era già stata dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione, ma il legislatore non era intervenuto modificando detta normativa (cfr. ord. 19.12.2019 in C-645/18).

L’art. 20 della Direttiva 2014/67 dispone: “Gli stati membri stabiliscono le sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’osservanza. Le sanzioni previste sono effettive, proporzionate e dissuasive. (…)”.

Il Giudice del rinvio, chiamato a giudicare sul ricorso della società austriaca avverso la sanzione pecuniaria irrogata per l’inosservanza di obblighi di dichiarazione di distacco presso l’autorità nazionale competente e alla conservazione della documentazione salariale, ha sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla conformità al diritto dell’Unione ed in particolare al principio di proporzionalità, di sanzioni quali quelle previste dalla normativa nazionale austriaca, rilevando altresì il mancato intervento del legislatore nazionale a seguito della citata ordinanza del 2019 e la sussistenza di divergenze tra i giudici austriaci circa la modalità di applicazione della giurisprudenza della Corte.

Il problema, in particolare, riguarda le conseguenze che il Giudice dovrebbe trarre da quest’ultima decisone e la possibilità di procedere alla disapplicazione degli elementi della normativa ostativi all’imposizione di sanzioni proporzionate piuttosto che astenersi dall’applicazione, nella sua interezza, del regime sanzionatorio previsto.

Le questioni pregiudiziali poste alla Corte dal Tribunale amministrativo regionale della Stiria sono le seguenti:

1)  se il requisito di proporzionalità delle sanzioni di cui all’articolo 20 della direttiva 2014/67 e oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea nelle ordinanze del 19 dicembre 2019, costituisca una disposizione della direttiva direttamente applicabile;

2) nell’ipotesi di risposta negativa alla prima questione: se l’interpretazione del diritto degli Stati membri conforme al diritto dell’Unione consenta e richieda che i giudici e le autorità amministrative degli Stati membri integrino, in assenza di intervento legislativo a livello nazionale, le disposizioni penali nazionali applicabili nella specie, sulla base dei criteri di proporzionalità sanciti dalle ordinanze della Corte di giustizia dell’Unione europea del 19 dicembre 2019.

Sulla prima questione.

Con riferimento alla prima questione, la Corte rileva come da costante giurisprudenza “in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato”.

Nel caso di specie, il Giudice del rinvio ritiene (nuovamente) che il legislatore austriaco non abbia correttamente trasposto il requisito di proporzionalità delle sanzioni sancito dall’art. 20 della direttiva 2014/67.

Con riferimento alla diretta applicabilità del principio, la Corte innanzitutto rileva che il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dalla disposizione è incondizionato: il requisito è espresso in termini assoluti e non richiede l’emanazione di alcun atto delle istituzioni europee e non attribuisce agli stati membri alcuna facoltà di condizionare o restringere la portata del divieto.

Inoltre, la disposizione ha un carattere sufficientemente preciso: pur riconoscendo agli stati un certo margine di discrezionalità nella definizione del regime sanzionatorio, tale margine trova limite nel divieto “enunciato in termini generali e inequivocabili da detta disposizione, di prevedere sanzioni sproporzionate” e nell’assenza di esclusione di un controllo giurisdizionale sul rispetto dei limiti di discrezionalità riconosciuti allo Stato membro.

Pertanto, “il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dall’articolo 20 della medesima direttiva è incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere invocato da un singolo e applicato dalle autorità amministrative nonché dai giudici nazionali”: il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati anche in assenza di armonizzazione della normativa comunitaria nel settore delle sanzioni applicabili.

Con riferimento alla prima questione la Corte risponde, quindi, dichiarando che “l’articolo 20 della direttiva 2014/67, laddove esige che le sanzioni da esso previste siano proporzionate, è dotato di effetto diretto e può quindi essere invocato dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto.”

Sulla seconda questione.

Nonostante la risposta positiva alla prima questione, la Corte ha ritenuto utile affrontare anche la seconda inerente al comportamento del Giudice, di fronte all’impossibilità di interpretare la normativa nazionale in senso conforme al principio di proporzionalità ed, in particolare, rispondendo al quesito che chiede se lo stesso debba disapplicare tale normativa nella sua interezza o se possa integrarla in modo da imporre sanzioni proporzionate.

Innanzitutto, si rammenta che il principio del primato impone ai giudici nazionali di interpretare il diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione, nonché, ove questo non sia possibile, di disapplicare qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, contraria a una disposizione del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto.

Nel caso di specie, il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto all’art. 20 della direttiva 2014/67 soddisfa le condizioni richieste per produrre un effetto diretto. La Corte, pertanto, dichiara che “nell’ipotesi in cui tale requisito sia invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro che l’abbia recepito in modo non corretto, spetta a tale giudice garantirne la piena efficacia e, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest’ultimo”, così da giungere, nel caso di specie, all’irrogazione di sanzioni proporzionate che permangano anche effettive e dissuasive.

Per rispondere al quesito, la Corte precisa che, per garantire la piena applicazione del requisito della proporzionalità delle sanzioni, è sufficiente disapplicare le disposizioni nazionali limitatamente alla parte in cui ostano all’irrogazione di sanzioni proporzionate. Un tanto non contrasta né mette in discussione i principi della certezza del diritto, della legalità dei reati e delle pene e della parità di trattamento.

Il principio della certezza del diritto esige una normativa chiara e precisa, di modo che i singoli possano conoscere i propri diritti ed obblighi senza ambiguità. Il principio di legalità dei reati e delle pene costituisce una particolare espressione del principio della certezza del diritto ed implica la definizione chiara da parte della legge dei reati e delle pene che ne conseguono.

Nel caso de quo, risulta che il regime sanzionatorio nazionale definisce, in materia di diritto del lavoro, taluni illeciti e prevede le relative sanzioni. In tale contesto, il requisito di proporzionalità enunciato all’articolo 20 della direttiva 2014/67 ha l’effetto di indurre tale giudice ad attenuare la severità delle sanzioni che possono essere irrogate ed un tanto non contrasta con i principi di certezza del diritto, di legalità dei reati e delle pene e di irretroattività della legge penale.

Nemmeno il principio di uguaglianza si pone in contrasto con tale decisione, dal momento che lo stesso esige che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo e che il relativo requisito di comparabilità delle situazioni, necessario per determinare l’esistenza di una violazione del principio di parità di trattamento, debba essere valutato alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano. Nel caso di specie, il requisito di proporzionalità previsto all’articolo 20 della direttiva 2014/67 implica una limitazione delle sanzioni, che deve essere rispettata da tutte le autorità nazionali incaricate della loro applicazione, permettendo contestualmente di modulare le sanzioni in funzione della gravità dell’illecito sulla base della normativa nazionale applicabile. Secondo la Corte, un tanto non viola il principio della parità di trattamento.

Quindi, alla seconda questione, la Corte risponde dichiarando “che il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorità nazionali l’obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale è contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto all’articolo 20 della direttiva 2014/67, nei soli limiti necessari per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate.

Alla luce di quanto sopra esposto, risulta ora chiara l’ampia portata applicativa della decisione in commento: infatti, risultano in vigore nel diritto dell’Unione più di 130 direttive contenenti disposizioni identiche all’art. 20 della direttiva 2014/67/UE riguardanti il settore del lavoro, bancario, dell’immigrazione, del mercato interno, dell’ambiente, dei consumatori. Non va dimenticato che, essendo l’art. 20 un richiamo all’articolo 49 della Carta dei Diritti Fondamentali, il principio di proporzionalità delle sanzioni dovrebbe applicarsi con effetto diretto a tutte le leggi degli Stati Membri costituenti attuazione del diritto dell’Unione Europea.

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