La società (OMISSIS) ha presentato ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, che ha riconosciuto il demansionamento del lavoratore (OMISSIS) avvenuto mediante il trasferimento da una sede di lavoro ad un’altra, condannando la stessa società al risarcimento del danno, quantificato in via equitativa nel 35% della retribuzione globale lorda.

Nello specifico, tra i vari motivi di gravame, la società ha dedotto la violazione della normativa processuale dettata in punto di onere della prova, in quanto la sussistenza del danno sarebbe stata accertata in re ipsa mediante l’utilizzo delle presunzioni ex artt. 2727 c.c. e 2729 c.c., che avrebbero inciso erroneamente, in combinato disposto con gli artt. 1223 e 1226 c.c., anche sulla determinazione del danno.

Con l’ordinanza n. 22228 del 14.10.2020, la Corte di Cassazione ha rigettato la relativa doglianza, ribadendo, in conformità a principi già enunciati, che: “in tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. Il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell’articolo 2729 c.c., attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione” (cfr. Cass. 23.07.2019 n. 19923; Cass. 03.01.2019 n. 21; Cass. 15.10.2018 n. 25743 v., specificamente, Cass. 20.04.2018 n. 9901 secondo cui “nell’ipotesi di demansionamento, il danno non patrimoniale è risarcibile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, nonché all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti”).”

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