Con la recente sentenza n. 784/19 del 03.06.2021, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha segnato un punto fermo nella lotta al dumping sociale, pronunciandosi in tema di interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

Il caso trae origine da una controversia tra una società, con sede in Bulgaria e registrata come agenzia interinale presso l’Agenzia per l’impiego bulgara, e la Direzione territoriale di Varna (Bulgaria) dell’Agenzia nazionale delle entrate, vertente sul mancato rilascio, da parte della citata agenzia, del certificato A 1 attestante che ad un lavoratore bulgaro si debba applicare la legislazione bulgara in materia di sicurezza sociale durante la sua messa a disposizione a favore di una società utilizzatrice stabilita in Germania. L’esame del caso, come svolto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, prende le mosse dall’art. 11, paragrafo 3, lettera a), del Regolamento n. 883/2004, che stabilisce il principio per cui la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetto alla legislazione di tale Stato, con specifico riferimento alla deroga di cui all’art. 12 del citato regolamento. Secondo il paragrafo 1 del già menzionato articolo 12, la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro, per conto di un datore di lavoro “che vi esercita abitualmente” ed è da questo distaccata per svolgervi un lavoro per suo conto in un altro Stato membro, rimane soggetta alla legislazione del primo Stato, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata. Nella precitata disposizione può rientrare anche la fattispecie del lavoratore distaccato, il cui datore di lavoro ha un legame particolare con lo Stato membro in cui è stabilito, in quanto tale datore di lavoro “esercita abitualmente le sue attività” in tale Stato membro. Precisa, poi, l’art. 14, paragrafo 2, del Regolamento n. 987/2009 che con tale dicitura si deve intendere un datore di lavoro “che svolge normalmente attività sostanziali, diverse dalle mere attività di gestione interna, nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito, tenendo conto di tutti i criteri che caratterizzano le attività dell’impresa in questione. I criteri applicati devono essere adatti alle caratteristiche specifiche di ciascun datore di lavoro e alla effettiva natura delle attività svolte”.

Tanto premesso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata come segue: “(…) Prevedendo una deroga siffatta, il legislatore dell’Unione ha offerto alle imprese che esercitano la libera prestazione di servizi garantita dal Trattato FUE un vantaggio in materia di sicurezza sociale che non deriva dal semplice esercizio di tale libertà. Orbene, consentire alle agenzie interinali che ricorrono alla libera prestazione di servizi di beneficiare di tale vantaggio quando orientano le loro attività di messa a disposizione di lavoratori interinali esclusivamente o principalmente verso uno o più Stati membri diversi da quello in cui sono stabilite rischierebbe di indurre tali imprese a scegliere lo Stato membro in cui intendono stabilirsi in funzione della legislazione di sicurezza sociale di quest’ultimo al solo scopo di beneficiare della legislazione che è per loro più favorevole in questa materia e di consentire in tal modo il «forum shopping». È vero che il regolamento n. 883/2004 istituisce unicamente un sistema di coordinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di sicurezza sociale, senza procedere all’armonizzazione di tali legislazioni, e che è intrinseco a un tale sistema che sussistano differenze tra i regimi di sicurezza sociale di questi ultimi, segnatamente per quanto riguarda il livello dei contributi previdenziali da versare per l’esercizio di una certa attività (sentenza del 16 luglio 2020, AFMB e a., C-610/18, EU:C:2020:565, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, l’obiettivo perseguito dal regolamento suddetto, consistente nel promuovere la libera circolazione dei lavoratori nonché, nel caso di distacco di lavoratori, la libera prestazione di servizi, offrendo un vantaggio in materia di sicurezza sociale alle imprese che esercitano tale libertà, rischierebbe di essere compromesso se l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 987/2009 finisse per agevolare la possibilità per tali imprese di avvalersi della normativa dell’Unione in materia al solo scopo di trarre vantaggio dalle differenze esistenti tra i regimi nazionali di sicurezza sociale. In particolare, un siffatto uso della normativa in questione rischierebbe di esercitare una pressione al ribasso sui sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri, ossia di portare a una riduzione del livello di tutela fornito da questi ultimi. Peraltro, consentendo alle agenzie interinali di sfruttare le differenze esistenti tra i sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri, un’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 e dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 987/2009 secondo cui i lavoratori assunti tramite agenzie interinali resterebbero iscritti al regime di sicurezza sociale dello Stato membro nel quale queste ultime sono stabilite, anche se le stesse non svolgono alcuna attività sostanziale di messa a disposizione di tali lavoratori in favore di imprese utilizzatrici ivi parimenti stabilite, avrebbe l’effetto di creare, tra le diverse modalità di impiego possibili, una distorsione della concorrenza in favore del ricorso al lavoro interinale rispetto alle imprese che assumono direttamente i loro lavoratori, i quali sarebbero iscritti al regime di sicurezza sociale dello Stato membro in cui lavorano. Ne consegue che, pur se un’agenzia interinale che svolge le proprie attività di messa a disposizione di lavoratori interinali esclusivamente o principalmente presso imprese utilizzatrici stabilite in uno Stato membro diverso da quello in cui essa è stabilita ha il diritto di avvalersi della libera prestazione dei servizi garantita dal Trattato FUE, una siffatta impresa non può, per contro, beneficiare del vantaggio offerto, in materia di sicurezza sociale, dall’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004, che consiste nel conservare l’iscrizione di tali lavoratori al regime normativo dello Stato membro in cui essa è stabilita, essendo tale vantaggio subordinato all’esercizio, da parte di detta impresa, di una parte significativa delle sue attività di messa a disposizione di lavoratori in favore di imprese utilizzatrici che sono stabilite ed esercitano le loro attività nel territorio dello Stato membro in cui anch’essa è stabilita. Di conseguenza, l’esercizio da parte di un’agenzia interinale di attività, sia pure significative, di selezione e di assunzione di lavoratori tramite agenzia interinale nello Stato membro in cui essa è stabilita non è sufficiente, di per sé, affinché si possa ritenere che una siffatta impresa «esercit[i] abitualmente le sue attività» in tale Stato membro, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004, come precisato all’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 987/2009, e possa, pertanto, avvalersi della norma derogatoria prevista dalla prima di tali disposizioni. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 987/2009 deve essere interpretato nel senso che, affinché si possa ritenere che un’agenzia interinale stabilita in uno Stato membro «esercit[i] abitualmente le sue attività», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004, in tale Stato membro, essa deve svolgere una parte significativa delle sue attività di messa a disposizione di lavoratori interinali in favore di imprese utilizzatrici che sono stabilite ed esercitano le loro attività nel territorio di detto Stato membro”.

Da ultimo, preme sottolineare che la citata sentenza non è rimasta indifferente nemmeno all’Ispettorato del Lavoro Nazionale, che con nota n. 936/2021 ha disposto che, ove ricorra l’assoluta prevalenza della messa a disposizione del personale in Stati diversi, sarà da contestare la genuinità del distacco con le conseguenze di cui al Dlgs. n. 136/2016 e l’avvio da parte dell’Inps della procedura di contestazione dei certificati A 1 eventualmente rilasciati dallo Stato membro di stabilimento dell’impresa interinale.

<< torna a tutte le notizie