Si segnala la sentenza n. 7756, pubblicata in data 27.03.2017, in occasione della quale le Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a dirimere un contrasto giurisprudenziale in ordine alla riconducibilità all’art. 1669 c.c. anche delle opere edilizie eseguite su di un fabbricato preesistente, hanno affermato il seguente principio di diritto: “l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.”

Ne deriva, come chiarito dalle medesime SS.UU., che “è del tutto indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova. La circostanza che le singole fattispecie siano derivate o non dall’edificazione primigenia di un fabbricato non muta i termini logico-giuridici dell’operazione ermeneutica compiuta in ormai quasi mezzo secolo di giurisprudenza.”

Dunque, anche in presenza di gravi difetti riguardanti per esempio la pavimentazione di una rampa di scale e di un muro di recinzione, delle opere impiantistiche, un ascensore esterno allo stabile, il crollo o il disfacimento degli intonaci esterni di un edificio, l’impianto centralizzato di riscaldamento ecc.., può trovare applicazione la più ampia disciplina prevista dall’art. 1669 c.c. e non quella dell’art. 1667 c.c. che, oltre a poggiare su fondamenta completamente diverse, prevede termini di decadenza e prescrizione diversi e sensibilmente più stringenti.

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