La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20243 del 25.09.2020, ha confermato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato da un’azienda ad un dipendente per abuso dei permessi ex art. 33, commi 3 e 6, della legge n. 104 del 1992, avendo il lavoratore, portatore di disabilità, aumentato i giorni di assenza in concomitanza con le festività e, dunque, per finalità estranee a quelle connesse alla cura della sua condizione di invalido. Nella fattispecie in esame la Suprema Corte ha stabilito il principio di diritto per cui “i permessi ex art. 33, comma 6, della legge n. 104 del 1992 sono riconosciuti al lavoratore portatore di handicap in ragione della necessità di una più agevole integrazione familiare e sociale, senza che la fruizione del beneficio debba essere necessariamente diretto alle esigenze di cura”, motivando come segue: “la tutela ed il sostegno del portatore di handicap sono garantiti, quindi, mediante l’erogazione di prestazioni economiche dirette, ma anche attraverso varie forme di tutela indiretta: si tratta di un significativo ventaglio di agevolazioni (così sono definite dalla rubrica dell’art. 33, della legge n. 104 del 1992), riconducibili alla logica della prestazione in servizi piuttosto che di benefici monetari immediati, che costituiscono un articolato sistema di welfare, anche familiare, connesso lato sensu ai doveri di solidarietà sociale, quotidianamente costruito attorno al disabile. Sotto il profilo sistematico, determinante è la considerazione che la tutela delle persone svantaggiate è costruita da un complesso di norme, di fonte interna – in primis dagli artt. 2, 3, 38 Cost., nonché dalla legge n. 68 del 1999 – ed internazionale – quali sono la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 3 marzo 2009 n. 18. La Corte Costituzionale ha avuto modo di sottolineare che l’assistenza del disabile e, in particolare, il soddisfacimento dell’esigenza di socializzazione, in tutte le sue modalità esplicative costituiscono “fondamentali fattori di sviluppo della personalità e idonei strumenti di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica” (sentenze n. 158 del 2007 e n. 350 del 2003; cfr. altresì sentenza n. 213 del 2016) e ha altresì rilevato che la finalità perseguita dalla legge n. 104 del 1992 consiste nella tutela della salute psico-fisica del disabile, che costituisce un diritto fondamentale dell’individuo (art. 32 Cost.) e rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.). Ed, invero, la “formazione sociale” (art. 2 Cost.) consiste in “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico” (sentenza n. 138 del 2010).”

Ne consegue la piena legittimità dell’utilizzo dei permessi da parte del lavoratore portatore di handicap grave, laddove finalizzato ad agevolare l’integrazione nella famiglia e nella società.

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