Con la sentenza n. 22488 del 09.09.2019, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato che ove il Lavoratore denunci un demansionamento per violazione dell’art. 2103 c.c. da parte del datore di lavoro, è su quest’ultimo che grava l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo e quindi che il demansionamento sia giustificato dall’esercizio dei propri poteri imprenditoriali o disciplinari oppure da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile. Con la medesima sentenza, la Suprema Corte ha altresì ribadito che nella valutazione del caso il Giudice deve attenersi alla seguente regola: “non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale, che invece implica una sottrazione di mansioni tale – per la sua natura e portata, per la sua incidenza sui poteri del lavoratore e sulla sua collocazione nell’ambito aziendale – da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con sottilizzazione delle capacità dallo stesso acquisite ed un conseguente impoverimento della sua professionalità.

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