Con la legge n. 119 del 2016 è stato introdotto nel nostro ordinamento il pegno non possessorio.

Caratteristica precipua del nuovo istituto, che lo differenzia dal pegno codicistico, è l’assenza di spossessamento. Fino all’introduzione della presente legge vigeva infatti nel nostro ordinamento, nell’ambito della garanzia mobiliare, il principio dello spossessamento del debitore consacrato nell’art. 2786 c.c., il quale stabilisce che il pegno si costituisce con la consegna della cosa, impedendo al debitore di disporre del bene dato in pegno. Questo principio non era scalfito dalla legislazione speciale, che prevedeva ad hoc forme peculiari per la costituzione di garanzie su beni mobili. A titolo di esempio si veda, in materia alimentare, la legge n. 401/1985 che prevede la costituzione senza spossessamento di pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata. Questa modalità di costituzione della garanzia è stata estesa ai prodotti lattiero-caseari dalla legge n. 122/2001.

Le esigenze del mondo produttivo necessitavano però di una riforma organica e strutturale che la legge n. 119/2016 accoglie, statuendo all’art 1 che “gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti loro concessi, presenti o futuri, determinati o determinabili e con la previsione dell’importo massimo garantito, inerenti all’esercizio dell’impresa.”

Il pegno mobiliare non possessorio, è bene premetterlo prima di passare ad un’analisi puntuale della nuova normativa, nasce come fattispecie dottrinale nell’esperienza applicativa, in seguito confermata (usando un’espressione del Sacco) dal formante giurisprudenziale. I tratti caratteristici del nuovo pegno mobiliare non possessorio, come ha rilevato la dottrina, erano rinvenibili già da anni nell’istituto del pegno rotativo, il quale può essere definito come un pegno tipico, al quale accede una clausola di rotatività che consente la sostituzione dell’oggetto originario del pegno senza effetti novativi sull’originaria costituzione della garanzia. Tale prassi applicativa nasce e si sviluppa nel settore bancario-finanziario.

Inquadrate le fondamentali caratteristiche – ovvero l’assenza di spossessamento e la parentela, se così si può dire, con la figura dottrinale / giurisprudenziale del pegno rotativo – si procederà ora all’analisi dei singoli articoli della legge n. 119/2016.

Dal disposto dell’art.1 comma 1 si evincono innanzitutto i presupposti della nuova garanzia, riservata ai soli imprenditori iscritti nel registro delle imprese, ivi compresi gli imprenditori agricoli, oltre che commerciali, esercitanti l’attività di impresa sia in forma individuale che societaria. Nulla viene stabilito invece per quanto riguarda le caratteristiche soggettive del creditore beneficiario della garanzia, che può essere anche un non imprenditore.

L’art. 1 co. 2 individua poi la categoria di beni che possono formare oggetto della garanzia: “beni mobili, anche immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa, a esclusione dei beni mobili registrati… esistenti o futuri, determinati o determinabili.” Il pegno non possessorio non può dunque avere ad oggetto: autoveicoli, motoveicoli, navi ed aeromobili.

Più problematico è l’aspetto legato alle quote di S.R.L o azioni di S.P.A, essendo soggetta ad iscrizione la società ma non le partecipazioni sociali, le quali non rientrerebbero nella categoria di bene mobile registrato. Analogo problema interpretativo si pone con riferimento ai beni immateriali. Potrebbe un imprenditore concedere in pegno beni immateriali registrati? La lettera della legge sembrerebbe escluderlo, anche se sembra improbabile che il legislatore abbia voluto circoscrivere la garanzia ai beni immateriali non registrati.

I beni devono essere destinati all’esercizio dell’impresa. Non vi fosse questa caratteristica funzionale del bene, il contratto dovrebbe ritenersi nullo per violazione di norme imperative e dunque inopponibile ai terzi.

L’art. 1 comma 3 stabilisce che il contratto costituito deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto recante l’indicazione del creditore, del debitore e dell’eventuale terzo concedente il pegno e la descrizione del bene dato in garanzia, del credito garantito e l’indicazione dell’importo massimo garantito.

Per quanto riguarda il differente aspetto dell’opponibilità ai terzi, il comma 4 stabilisce che il pegno ha effetto verso i terzi con “l’iscrizione in un registro informatizzato, costituito presso L’Agenzia delle Entrate” denominato “Registro dei beni non possessori.” Trattasi di una forma di pubblicità dichiarativa ex art. 2193 c.c. L’iscrizione ha una durata di 10 anni, rinnovabile con una nuova iscrizione prima della scadenza del decimo anno. Le modalità informatiche per l’iscrizione, cancellazione e consultazione dei contratti nel registro e più in generale degli obblighi di chi effettua le suddette operazioni sono demandate ad decreto di attuazione dei ministeri dell’Economia e della Giustizia. Tale decreto sarebbe dovuto intervenire entro 30 giorni dalla promulgazione della legge. Ad oggi, tuttavia, non è ancora intervenuto alcun decreto, sicché l’istituto non è operante.

Il comma 6 dell’art. 1 disciplina il contenuto dell’iscrizione, la quale deve indicare: il creditore, il debitore, se del caso il terzo datore del pegno, la descrizione del bene dato in garanzia e del credito garantito.

La caratteristica del non spossessamento condiziona inevitabilmente anche le regole che presidiano i conflitti tra più creditori. Mentre il pegno codicistico individua come criterio la regola della priorità del conseguimento del possesso della res, per quanto riguarda il pegno non possessorio il conflitto tra più creditori è risolto in base al criterio dell’anteriorità dell’iscrizione. Quest’ultimo principio trova un’importante deroga nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art.1. Infatti, in un conflitto tra creditore di pegno non possessorio, quandanche anteriore, e il finanziatore dell’acquisto di un bene destinato all’esercizio dell’attività di impresa garantito da riserva di proprietà o da pegno anche non possessorio sul bene medesimo, prevale quest’ultimo. Si tratta di un favor legis riconosciuto ai finanziatori dell’imprenditore.

Il comma 2 dell’art. 1 introduce, peraltro, la seconda grande novità degna di nota: viene espressamente legittimato ex lege il patto di rotatività: se previsto dal titolo, il debitore può vendere il bene. In tal caso il pegno “si trasferisce al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo. “

Il comma 7 dell’art. 1 disciplina le modalità di escussione della garanzia. Il creditore che dopo aver constatato l’inadempimento del debitore, abbia proceduto all’intimazione notificata, anche direttamente a mezzo di posta elettronica certificata al debitore, può procedere:

  • Alla vendita tramite procedure competitive del bene, con facoltà di trattenerne il corrispettivo fino a concorrenza della somma garantita;
  • All’escussione o alla cessione dei crediti fino a concorrenza della somma garantita;
  • Ove previsto dal titolo ed iscritto nel registro delle imprese, alla locazione del bene, imputando i canoni a soddisfacimento del proprio debito fino alla concorrenza della somma garantita. In tal caso, il contratto deve prevedere le modalità di valutazione del corrispettivo della locazione;
  • Ove previsto dal titolo e iscritto nel registro delle imprese, all’appropriazione dei beni oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno.

Ai sensi del comma 7 bis dell’art. 1, il debitore o il terzo concedente hanno diritto di proporre opposizione con ricorso, secondo le modalità previste dalle disposizioni del libro IV, titolo I, capo III- bis c.p.c., entro 5 giorni dall’intimazione. Oltre al ricorso cautelare è prevista dal comma 9 solamente la tutela risarcitoria, qualora l’escussione sia avvenuta in violazione dei criteri sopra menzionati.

La legge di conversione disciplina anche i rapporti con le procedure esecutive e concorsuali.

In base al comma 7 quater dell’art. 1, se il bene già oggetto di pegno non possessorio regolarmente iscritto è sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione, il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore, lo autorizza all’escussione del pegno, stabilendo con decreto il tempo e le modalità dell’escussione. L’eventuale eccedenza rispetto al credito è corrisposta in favore della procedura esecutiva, fatti salvi i crediti degli aventi diritto a prelazione anteriore a quella del creditore istante.

Il comma 8 dell’art.1 disciplina l’eventualità che il debitore sia dichiarato fallito. In base alla norma, in tale ipotesi il creditore può procedere all’escussione della garanzia soltanto una volta che il suo credito sia stato ammesso al passivo con prelazione pignoratizia. Si noti come in caso di pegno non possessorio l’autotutela del credito sia piena, a differenza di quanto previsto dall’art. 53 della legge fallimentare per il pegno ordinario, peri il quale il creditore deve essere autorizzato alla vendita extraconcorsuale dal giudice delegato.

In sede di conversione è stato introdotto infine il comma 10 bis, quale norma di chiusura: al nuovo istituto del pegno non possessorio viene estesa l’applicazione delle disposizioni del codice civile aventi ad oggetto il pegno, ossia gli articoli dal 2784 al 2807 c.c.

Tutto ciò premesso, si conclude rilevando come sia certamente troppo presto per esprimersi in merito alla reale incisività dell’istituto in parola sulla realtà economica di questi tempi. L’auspicio è in ogni caso che si riveli realmente uno strumento utile alle ragioni del credito ed al contempo consenta alle aziende in stato di crisi di liquidità o in situazioni di esposizione debitoria transeunte, senza però grossi problemi strutturali, di poter continuare l’attività di impresa.

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