Con la recente sentenza n. 701 del 18 gennaio 2021, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo di gravame presentato dal Lavoratore, avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento intimato in data 08.11.2011, all’esito di una procedura di mobilità ex Lege 223/91. In forza dell’accordo sindacale del 05.06.2009 stipulato tra le Organizzazioni sindacali e la Datrice di lavoro, il Lavoratore, collocato in CIGS dal 15.06.2009, aveva manifestato dal 04.03.2010 la disponibilità a svolgere mansioni di livello inferiore con diminuzione della retribuzione percepita; ciò nonostante, la Datrice di lavoro non aveva accolto l’istanza del Lavoratore e, avviata la procedura di mobilità, aveva proceduto al licenziamento del Lavoratore con efficacia differita al termine del periodo di cassa integrazione. I giudici di merito avevano rigettato le doglianze del Lavoratore, ritenendo, ex pluribus, che la disponibilità alle mansioni inferiori resa dal Lavoratore, non comportasse alcun obbligo a carico della Datrice di Lavoro, ma una mera possibilità di giungere ad un accordo. Sul punto la Corte di Cassazione ha statuito in senso opposto, motivando come segue: “Nella giurisprudenza della Corte, è stato più volte affermato che la L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 11, statuendo che, nel corso delle procedure di mobilità, gli accordi sindacali, al fine di garantire il reimpiego almeno ad una parte dei lavoratori, possono stabilire che il datore di lavoro assegni, in deroga all’articolo 2103 c.c., mansioni diverse da quelle svolte, non solo sottintende la possibilità di attribuzione di mansioni anche peggiorative, ma non pone alcuna preclusione nell’assegnazione delle mansioni inferiori; e ciò si spiega considerando che trattasi per un verso di un rimedio per evitare il licenziamento e per altro verso di una deroga che non vincola i lavoratori, i quali ben potrebbero rifiutare la dequalificazione, andando però incontro al rischio del licenziamento (Cass. n. 11806 del 2000 e, tra le più recenti, Cass. n. 6289 del 2020 e n. 14944 del 2014). Tra le più risalenti pronunce Cass. n. 11806 del 2000, proprio muovendo dal potere offerto dalla norma agli accordi sindacali per l’attribuzione di mansioni anche peggiorative senza preclusioni, ha osservato che l’accordo L. n. 223 del 1991, ex articolo 4, comma 11, sarebbe idoneo a legittimare (sostanzialmente in deroga all’articolo 2095 c.c.) il demansionamento dalla categoria impiegatizia a quella operaia, laddove questo rimedio, come già detto, valga ad evitare il licenziamento e in ogni caso considerando che esso non sarebbe vincolante per il lavoratore, il quale ben potrebbe rifiutare la dequalificazione, accettando il rischio del licenziamento. D’altra parte, già Cass. n. 9386 del 1993 aveva affermato che, in presenza di una ristrutturazione aziendale che comporti soppressione di posti di lavoro, l’accordo sindacale che, quale misura alternativa al licenziamento dei lavoratori interessati alla soppressione stessa, preveda l’inquadramento di questi ultimi previa attribuzione di diverse mansioni – in una diversa categoria non viola il disposto dell’articolo 2103 c.c., le cui disposizioni non operano con riguardo a situazioni nelle quali la loro applicazione comporterebbe compromissione dei livelli di occupazione. Quando la modifica in peius è volta ad evitare il licenziamento o la messa in cassa integrazione, la diversa utilizzazione del lavoratore non contrasta con l’esigenza di dignità e libertà della persona, configurando una soluzione più favorevole di quella ispirata al mero rispetto formale dell’articolo 2103 c.c. (cfr. Cass. n. 6441 del 1988 e n. 266 del 1984). Prevale, infatti, l’interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall’articolo 2103 c.c. e ciò non solo ove il demansionamento sia promosso dalla richiesta del lavoratore – il quale deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà – ma anche allorché  l’iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, sempreché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell’accordo (cfr., in tale senso, Cass. n. 2375 cit.). E’ stato pure affermato che l’articolo 2103 c.c., si interpreta alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, in coerenza con la “ratio” di numerosi interventi normativi, quale il Decreto Legislativo n. 223 del 1991, articolo 4, comma 11 (anche come da ultimo riformulato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 3, comma 2), sicché, ove il demansionamento rappresenti l’unica alternativa al recesso datoriale, non è necessario un patto di demansionamento o una richiesta del lavoratore in tal senso anteriore o contemporanea al licenziamento, ma è onere del datore di lavoro, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, prospettare al dipendente la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale (Cass. n. 23698 del 2015). Tanto premesso, va osservato che gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla categoria dei contratti collettivi normativi, con la conseguenza che gli stessi incidono direttamente non già sulla posizione del lavoratore, ma su quella del datore di lavoro, il quale nella scelta dei dipendenti da porre in mobilità deve applicare i criteri concordati (cfr. Cass. n. 3271 del 2000). Al fine di superare il vincolo costituito dall’articolo 39 Cost., in relazione alla imprescindibile esigenza che tale accordo sia efficace nei confronti di tutta la comunità aziendale, la giurisprudenza costituzionale ha configurato gli accordi sindacali stipulati nel contesto della procedura in questione come contratti c.d. di gestione, non appartenente alla specie dei contratti collettivi c.d. normativi; essi, così superando il vincolo dell’articolo 39 Cost., incidono sul singolo lavoratore solo indirettamente, attraverso l’atto di recesso del datore di lavoro in quanto vincolato dalla legge al rispetto dei criteri di scelta concordati in sede sindacale (Corte Cost. sent. 30 giugno 1994, n. 268; v. pure Cass. 4666 del 1999). La funzione gestionale ed obbligatoria dell’accordo preordinato alla tutela dell’interesse generale e della salvaguardia dei livelli occupazionali si esprime nella instaurazione di rapporti obbligatori che vincolano le parti collettive e gli imprenditori che li stipulano, anche eventualmente in funzione transattiva di conflitti di diritti o di interessi. La procedura per la mobilità, regolata dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 4, si attua attraverso un complesso iter, diretto ad un esame congiunto tra datore di lavoro ed organismi sindacali, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale, e di ricercare concrete possibilità per evitare (o ridurre al minimo) la messa in mobilità attraverso una diversa utilizzazione del personale dipendente, anche adibendo, in deroga al disposto dell’articolo 2103 c.c., i lavoratori a mansioni diverse o inferiori a quelle svolte in precedenza (L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 11). Detta procedura non configura una mera consultazione tra impresa e sindacati, risultando più specificamente e incisivamente funzionalizzata al perseguimento di un accordo sulla riduzione del personale e/o sulle misure alternative (cfr. Cass. n. 3133 del 1998, in motivazione). La sentenza impugnata, pur implicitamente ammettendo che si era in presenza di un accordo tendente al riassorbimento dei lavoratori ritenuti eccedenti ai sensi della L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 11, che consente di derogare all’articolo 2103 c.c. e quindi di assegnare i lavoratori a qualifiche e mansioni inferiori, non si è fatta carico di interpretare l’Accordo sindacale alla luce della sua ratio e funzione, nel contesto della sopra richiamata giurisprudenza di questa Corte.

Ritenuto assorbente il motivo, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello competente.

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