Con sentenza a Sezioni Unite n. 35969, pubblicata in data 27.12.2023, la Corte di Cassazione ha affrontato – a pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza n. 35385/2023 – il tema della convivenza di fatto e del suo rilievo ai fini della determinazione del diritto all’assegno successivamente allo scioglimento dell’unione civile.

Avanti al Tribunale di Pordenone, in un procedimento di scioglimento di unione civile (introdotta con L. 76/2016), una parte ha chiesto il riconoscimento del diritto all’assegno, concesso con sentenza del 29.01.2020 con richiamo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile ed attribuzione di rilievo assorbente alla funzione compensativa-risarcitoria, consistente nell’indennizzare l’avente diritto per la perdita di chances determinata dalla rinuncia a migliori opportunità di lavoro, in funzione dell’unità e dello svolgimento della vita familiare.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di riconoscimento dell’assegno, ritenendo irrilevante il pregiudizio economico asseritamente subito, dal momento che il trasferimento verso la regione di residenza della compagna e le dimissioni dal precedente luogo di lavoro erano intervenute in data anteriore all’entrata in vigore della L. 76/2016.

Avverso la sentenza è stato proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, assegnato alle Sezioni Unite, in quanto ritenuta della massima importanza la possibilità di valutare, ai fini del riconoscimento dell’assegno di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, nel caso di unione civile costituita ai sensi della L. n. 76 del 2016, art. 1 e della quale sia stato pronunciato lo scioglimento, i fatti intercorsi tra le parti anteriormente all’ instaurazione dell’unione civile.

Apparentemente la questione di fatto è analoga a quella oggetto della già richiamata sentenza a SS.UU. n. 35385/2023, tanto che la decisione risulta sostanzialmente sovrapponibile e conforme alla precedente attinente a un caso di scioglimento del matrimonio (cfr. https://www.reiterer-marangoni.it/it/news/la-convivenza-prematrimoniale-e-lassegno-divorzile-la-sentenza-delle-sezioni-unite-n-35383-2023/).

Ciò che però distingue nettamente le due sentenze è la motivazione addotta dalla Corte di Cassazione – e che di seguito si analizza – che, pur muovendo da situazioni soggette a discipline differenti, riesce comunque a rendere effettivo il principio di uguaglianza e di parità di trattamento successivamente allo scioglimento non solo del matrimonio, ma anche dell’unione civile.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, ritenendo fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso atti a censurare l’omessa valutazione del periodo di convivenza di fatto anteriore alla costituzione dell’unione civile, osserva quanto segue.

L’intera questione deve leggersi alla luce della situazione determinatasi a seguito della sentenza della Corte EDU del 21.07.2015 (Oliari c. Italia) che ha sancito la violazione da parte dell’Italia dell’art. 8 della CEDU, per non aver ottemperato all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno specifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali. In seguito, venne approvata (anche sulla precedente spinta della sentenza della Corte Costituzionale n. 138/2010) la Legge n. 76 del 2016.

Le Sezioni Unite ritengono quindi indispensabile capire se la normativa sopravvenuta consenta di valorizzare fatti verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore.

All’analisi della disciplina applicabile, tra la quale si richiama l’art. 5 della L. 898/70, segue un approfondito esame della giurisprudenza relativa non solo alla ricostruzione dei presupposti e dei criteri di liquidazione dell’assegno divorzile – ove le concrete modalità di svolgimento della vita familiare hanno comportato un indubbio ridimensionamento della rilevanza esclusiva attribuita alla durata legale del matrimonio, in forza anche di un riconoscimento dei mutamenti intervenuti nella realtà sociale – ma anche all’emersione della convivenza di fatto, quale modello familiare non necessariamente alternativo all’unione fondata sul matrimonio, ma a questa collegato.

Pertanto, secondo la Corte, nella giurisprudenza di legittimità risulta già ampiamente presente il riconoscimento dell’unione di fatto quale modello familiare da cui scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale destinati a riflettersi anche su quelli derivanti dal matrimonio.

Non condivisibili sono state ritenute le tesi del Procuratore Generale e della Corte nella sentenza impugnata, con il richiamo all’art. 1 co. 65 L. 76/16 che limita l’obbligo di solidarietà in favore dell’ex convivente al solo caso in cui lo stesso versi in stato di bisogno, in quanto riferito alla convivenza di fatto e non anche al caso in cui alla stessa consegua la formalizzazione del vincolo, come nel caso di specie. Del pari inconferente è il richiamo al medesimo articolo, co. 50 e 52 let. b) riferiti alla possibilità di disciplinare la convivenza con un apposito contratto, dal momento che la perdita di efficacia del medesimo al termine della convivenza, non consente di ritenere che i predetti profili perdano rilievo anche in caso di prosecuzione della stessa sotto la veste formale del matrimonio o dell’unione civile.

Con specifico riferimento alla sollevata questione del rilievo attribuibile alla convivenza anteriore alla costituzione civile, laddove la stessa si sia svolta prima dell’entrata in vigore della L. 76/2016, le Sezioni Unite ribadiscono che “la convivenza di fatto non può essere riguardata come un segmento a sé stante della vita familiare, distinto da quello successivo alla formalizzazione del vincolo e produttivo di autonome conseguenze giuridiche, costituendo piuttosto espressione di un unico rapporto (…): il fatto generatore del diritto all’assegno non è pertanto individuabile nella cessazione della convivenza di fatto, mai concretamente verificatasi e comunque inidonea a determinare l’insorgenza del predetto diritto, anche ai sensi della legge n. 76/2016, ma nello scioglimento dell’unione civile, che, in quanto intervenuto successivamente all’entrata in vigore della medesima legge (…) giustifica, ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno, una valutazione estesa all’intera durata del rapporto, ivi compreso il periodo di convivenza, anche se svoltosi in tutto o in parte in epoca anteriore, senza che ciò si traduca in un’applicazione retroattiva della nuova disciplina”.

Si aggiunge che, come nel caso di specie in cui la controversia ha ad oggetto lo scioglimento di un’unione civile costituita da persone del medesimo sesso, “l’esclusione della possibilità di prendere in considerazione, ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno, il periodo di convivenza che ha preceduto l’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016 comporterebbe la frustrazione delle finalità perseguite dalla medesima legge, impedendo di tenere conto delle scelte (spesso determinanti anche per il futuro) compiute dalle parti nella fase iniziale del rapporto, in cui la convivenza ha dovuto necessariamente svolgersi in via di mero fatto per causa ad esse non imputabile, essendo all’epoca preclusa alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre un vincolo formale.” A sostegno di tale osservazione la Corte richiama le numerose pronunce della Corte EDU con cui si è accertata la violazione dell’Italia dell’art. 8 della CEDU (Oliari e altri c. Italia, 21.07.2015 e Orlandi e altri c. Italia del 14.12.2017), da inserirsi nel più ampio catalogo di decisioni aventi ad oggetto la nozione di “famiglia”, non limitata alle sole relazioni fondate sul matrimonio, ma da estendersi anche ai legami familiari di fatto, anche tra persone dello stesso sesso (cfr. sent. Johnston e altri c. Irlanda 18.12.86; Van der Heijden c. Paesi Bassi 03.04.12; Vallianatos e altri c. Grecia 07.11.13; X e altri c. Austria 19.02.13; Fedotova e altri c. Russia 13.07.21, Pini e altri c. Romania 22.06.04; Taddeucci e McCall c. Italia 30.07.16). E nella prospettiva emergente da tali pronunce, “negare rilevanza alla convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso, successivamente sfociata nella costituzione di un’unione civile, per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell’art. 8 della CEDU, oltre che in un’ ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali” alle quali era negato contrarre un vincolo formale, prima di tale legge.

Nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, prevista dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiamato dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 25, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorchè lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 76 cit.”.

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