Nella fattispecie in esame, il lavoratore, che assisteva un familiare disabile convivente, veniva adibito dal datore di lavoro ad un diverso ufficio nell’ambito della medesima unità produttiva (all’interno dello stesso comprensorio, ma situato in un luogo diverso), senza avere rilasciato il consenso prescritto dall’art. 33 comma 5 Legge 104/92. Con l’ordinanza n. 2969 dell’8 febbraio 2021, la Suprema Corte ha confermato l’illegittimità del trasferimento del lavoratore, così motivando: “la disposizione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta dì trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati – alla luce dell’art. 3, secondo comma, Cost., e della Carta di Nizza che, al capo 3 – rubricato Uguaglianza – riconosce e rispetta i diritti dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e la partecipazione alla vita della comunità (art. 26) e al capo 4 – rubricato Solidarietà – tratta della protezione della salute, per la quale si afferma che nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un alto livello di protezione della salute umana. Va anche osservato che la lettura dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 nei termini sopra ricostruiti è conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 dei disabili, ratificata con legge n.18 del 2009 dall’Italia (C. Cost. n. 275 del 2016) e dall’Unione Europea con decisione n. 2010/48/CE (Cass. cit. n.25379/2016 cui adde Cass. 23/5/2017 n.12911). L’efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza, per quanto rileva nella fattispecie in esame, anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza. E’, nondimeno, innegabile che l’applicazione dell’art.33, comma 5, cit., postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi, bilanciamento necessario, per vero, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il disposto dell’art.2103 c.c., che, nel periodo finale del primo comma, statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra “se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. L’onere probatorio rafforzato posto dall’art. 2103 c.c. sul datore di lavoro con riferimento all’esigenza dell’impresa di variare la sede lavorativa (ex multis, Cass. 11984/2010) dimostra la preoccupazione del legislatore nei confronti dei provvedimenti destinati ad avere, nella generalità dei casi, ricadute sovente pregiudizievoli per il lavoratore sotto diversi versanti, incidenti non di rado oltre che sul piano economico anche su quello familiare per interrompere, per tempi non limitati, quei rapporti di affetti e di solidarietà quotidiana fondanti la comunità familiare. A questi ultimi particolare attenzione è stata dedicata, come innanzi osservato, dal legislatore italiano che, con l’art. 33 c. 5 della legge n. 104 del 1992, nel contesto normativo sovranazionale sopra richiamato, ha inteso regolare più incisivamente i poteri del datore di lavoro nei casi nei quali il lavoratore sia parte di una comunità familiare nella quale vi siano persone con disabilità che richiedano un impegno più pregnante e gravoso da parte del familiare lavoratore, impegno che anche l’inamovibilità di quest’ultimo può garantire. La ricostruzione del quadro normativo nazionale e sovranazionale e dei principi giurisprudenziali sopra richiamati induce a ritenere che nel necessario bilanciamento di interessi e di diritti del lavoratore e del datore di lavoro, aventi ciascuno copertura costituzionale, dovranno essere valorizzate le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore, occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte (Cass. cit. n.25379/2016, e Cass. n.9201/2012). In questa prospettiva applicativa, deve ritenersi che le critiche formulate da parte ricorrente – laddove escludono che nella specie si sia verificato un vero e proprio trasferimento e che si sia realizzata una violazione delle disposizioni di tutela dei soggetti disabili – non colgano nel segno, avendo la Corte di merito pronunziato in conformità ai summenzionati principi che anche di recente questa Corte ha ribadito, ulteriormente precisando che il trasferimento del lavoratore di cui al c. 5 dell’art. 33 L n. 104 del 1992 è configurabile anche nell’ipotesi in cui lo spostamento venga attuato nell’ambito della medesima unità produttiva, quando questa comprenda uffici dislocati in luoghi diversi (vedi Cass. 12/10/2017 n. 24015, Cass. 23/8/2019 n.21670)”.

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