L’art. 2598 comma 1 n. 1 c.c. contempla la fattispecie di concorrenza sleale confusoria, in base alla quale, compie atti di concorrenza sleale chiunque: “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”. Con la sentenza n. 11031 del 12.04.2016, pubblicata il 27.05.2016, la Corte di Cassazione ha illustrato e chiarito quale sia il percorso logico-giuridico che deve essere seguito dal Giudice di merito nell’esame dell’affinità visiva fra marchi. In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che “la valutazione del rischio di confusione deve fondarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in confronto, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti, rilevando la percezione dei segni da parte del consumatore medio, il quale “vede” normalmente il marchio come un tutt’uno e non effettua un esame spezzettato dei singoli elementi. Inoltre, il Giudice di merito deve tenere conto, nel giudizio di confondibilità, che al momento della scelta, il consumatore usualmente non ha di fronte entrambi i segni, ma solo uno di essi, onde non confronta due marchi entrambi posti innanzi a sé per svolgerne un compiuto esame visivo, ma paragona solo mentalmente quello che vede con il ricordo imperfetto e l’immagine mnemonica dell’altro”.

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