Con la sentenza n. 35385/2023 pronunciata dalla Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite e pubblicata in data 18.12.2023 viene nuovamente affrontato l’annoso tema dell’assegno divorzile, questa volta sotto il profilo dei presupposti e dei criteri di calcolo della durata del matrimonio nel caso in cui lo stesso sia stato preceduto da una convivenza.

Il caso oggetto della decisione muove da un’impugnazione proposta da una donna avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna che ha ridotto l’assegno divorzile alla stessa riconosciuto in primo grado sulla scorta del fatto che, in breve, non risultava agli atti un vero e proprio sacrificio delle aspirazioni personali, considerato che all’epoca delle nozze la medesima aveva già lasciato il suo lavoro.

Avuto quindi riguardo della breve durata del matrimonio (dal 2003 al 2010) e del profilo solamente assistenziale dell’assegno, questo veniva ridotto. Irrilevante è stato ritenuto il periodo anteriore di convivenza, durato dal 1996 al 2003 e segnato nel 1998 dalla nascita di un figlio comune, “poiché gli obblighi nascono dal matrimonio e non dalla convivenza”.

Per quanto qui di interesse, ci si limita a richiamare il primo motivo di impugnazione con cui la ricorrente ha censurato “la violazione e falsa applicazione dell’art 5 , comma VI, Legge n. 898/1970, l’erronea ed omessa valutazione dei fatti e dei documenti di causa e l’omesso apprezzamento della disparità patrimoniale, con particolare riferimento agli emolumenti e alle ricchezze del (…) e alle condizioni economiche della ricorrente, per avere la Corte distrettuale «rivisitato la valutazione operata dal Tribunale delle condizioni economiche complessive» dell’ex marito (…), trascurando di considerare, nella valutazione del contributo al ménage familiare dato dalla (…) , anche con la messa a disposizione di ricchezze provenienti dalla propria famiglia d’origine, oltre che con il ruolo svolto di casalinga e di madre, il periodo (dal 1996 al 2003), continuativo e stabile, di convivenza prematrimoniale (nell’ambito del quale era nato il figlio nel 1998), con una motivazione lacunosa e contra legem”.

Ritenuta la questione rilevante con riferimento alla mancata considerazione da parte della Corte d’Appello del periodo di convivenza prematrimoniale, con ordinanza interlocutoria n. 30671/22 la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite che ha ritenuto detto primo motivo meritevole di accoglimento.

La motivazione è preceduta da un dettagliato richiamo non solo alla disciplina applicabile, ma anche alla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione relativa alla quaestio dell’assegno divorzile.

Per quanto riguarda il quadro normativo di riferimento, la Corte precisa essere costituito principalmente dalla L. 898/70, art. 5 commi 6, 10, art. 9 co. 3 (Legge sul divorzio), dalla successiva L. 76/2016, co. 36 e 65 (legge sulle unioni civili e la disciplina della convivenza) e, quale corollario di portata sovranazionale, l’art. 8 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti umani, in relazione al quale la Corte EDU ha da tempo chiarito che “la vita familiare comprende anche gli interessi materiali”.

Tale disciplina si coniuga con la giurisprudenza della Corte Costituzionale e con le numerose recenti sentenze della Cassazione medesima. Senza voler in questa sede ricostruire lo sviluppo dell’interpretazione della natura e dei requisiti dell’assegno divorzile (per la cui lettura si rinvia al testo della sentenza in commento), si ritiene utile richiamare unicamente la Sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, citata dai Giudici nella parte in cui riconosce che “alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo”, quale principio per affrontare il tema relativo ai rapporti tra convivenza e matrimonio.

Il perno della sentenza in commento è, infatti, costituito dalla presa di coscienza dell’evoluzione e dei mutamenti sociali, nonché dal rilievo attualmente attribuito dalla società alla convivenza prematrimoniale, definito come “fenomeno di costume sempre più radicato”, cui si connette “un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali”.

E proprio muovendo dalla consapevolezza dell’esigenza che la giurisprudenza si faccia carico dell’evoluzione del costume nella interpretazione della nozione di famiglia, la Corte, all’esito dell’attuale definizione dei presupposti dell’assegno divorzile, ritiene che non possa escludersi “che una convivenza prematrimoniale, laddove protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia «consolidato» una divisione dei ruoli domestici capace di creare «scompensi» destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire.” Tale affermazione non deve però essere intesa in senso ampio con conseguente incisione sui presupposti e requisiti dell’assegno divorzile, così come contenuti nella L. 898/70. Infatti, si precisa che “Non si tratta, quindi, di introdurre una, non consentita, «anticipazione» dell’insorgenza dei fatti costitutivi dell’assegno divorzile, in quanto essi si collocano soltanto dopo il matrimonio, che rappresenta, per l’appunto, il fatto generatore dell’assegno divorzile, ma di consentire che il giudice, nella verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno al coniuge economicamente più debole, nell’ambito della solidarietà post coniugale, tenga conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale, quando emerga una relazione di continuità  tra la fase «di fatto» di quella medesima unione, nella quale proprio quelle scelte siano state fatte, e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale.”

La convivenza prematrimoniale diventa quindi – alla sussistenza dei presupposti della rilevanza e continuità con la successiva fase matrimoniale – oggetto di analisi e rigorosa dimostrazione, nella parte in cui siano stati compiuti sacrifici in ragione di un progetto di vita comune concretizzatosi nel successivo matrimonio: tale periodo va quindi computato ai fini dell’assegno divorzile limitatamente alla verifica dell’esistenza di scelte condivise dalla coppia che abbiano confermato la vita matrimoniale e cui possano ricollegarsi rinunce alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole.

All’accoglimento del motivo di ricorso per cassazione segue l’esposizione del principio di diritto, coerente con la copiosa e recente giurisprudenza citata dalla Corte medesima: “Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità  tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio”.

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