Con due distinte pronunce, la Corte Costituzionale ha di recente risolto due questioni di legittimità inerenti all’istituto della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite, previsto dall’art. 696-bis c.p.c. Nell’autunno 2023, infatti, la Consulta è stata chiamata a vagliare la costituzionalità della norma in relazione alla sua operatività (sentenza n. 222 del 21.12.2023) e alla possibilità di presentare reclamo avverso l’eventuale provvedimento di rigetto dell’istanza di espletamento della consulenza tecnica (sentenza n. 202 del 10.11.2023).

Vista la notevole importanza delle due decisioni per l’intero sistema dell’istruzione preventiva, con il presente contributo ne verranno ripercorsi i passaggi principali, previo un breve riepilogo in merito all’origine e alla funzione dell’art. 696-bis c.p.c.

1. La consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite. Lo scopo dello strumento di istruzione preventiva previsto dall’art. 696-bis c.p.c.

L’art. 696-bis c.p.c. è stato introdotto dall’art. 2 D.L. 35/2005, conv. in L. n. 80/2005, con un duplice obiettivo: da un lato, dare alle parti di un eventuale giudizio in cui sono dibattuti soprattutto i fatti di causa la possibilità di valutare al meglio l’opportunità di avviare un procedimento giudiziale espletando una consulenza tecnica ante-causam; dall’altro, agevolare la composizione stragiudiziale della lite, confidando che – alla luce dei risultati della consulenza – le parti siano più propense a conciliare, evitando l’instaurazione di un lungo e costoso procedimento giudiziale.

Da un punto di vista sistematico la norma è stata collocata dopo l’art. 696 c.p.c., che prevede la possibilità di richiedere, prima del giudizio, un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale volti a far verificare “lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose” o della persona dell’istante, o – previo consenso – della persona nei cui confronti l’istanza è proposta.

Questi due strumenti di istruzione preventiva condividono dunque la natura “tecnica” dell’attività che viene richiesta, ma si distinguono per i requisiti e per lo scopo prefissato.

L’accertamento tecnico preventivo, infatti, può essere disposto solo laddove ne ricorra l’urgenza, ossia vi sia il periculum che, date le tempistiche necessarie per lo svolgimento di un procedimento ordinario, tale accertamento non possa più essere effettuato. Si tratta dunque di uno strumento di istruzione preventiva in senso stretto.

L’art. 696-bis c.p.c. riconosce invece la possibilità di richiedere la nomina di un consulente tecnico “al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696”, ossia anche laddove non si ravvisi l’urgenza di assumere la prova. Inoltre, il ricorso può essere presentato ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei “crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”. Infine, la consulenza tecnica preventiva ha anche una finalità deflattiva: per espressa previsione normativa il consulente nominato, prima di depositare la relazione, deve tentare la conciliazione delle parti. Da tale obbligo derivano due possibilità.

Se la conciliazione riesce, si forma il processo verbale della conciliazione, cui il giudice attribuisce efficacia di titolo esecutivo (art. 696-bis, co. 2-3 c.p.c.); in tal modo verrebbe pienamente soddisfatto l’intento del legislatore di ridurre il carico giudiziario.

Qualora invece non si riesca a trovare un accordo tra le parti, riassumerebbe rilevanza quale “strumento di istruzione preventiva”, considerato che la relazione del consulente potrebbe essere prodotta da ciascuna parte in un successivo giudizio di merito (art. 696-bis, co. 5 c.p.c.).

2. L’ambito di operatività dell’art. 696-bis c.p.c. La sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 21 dicembre 2023.

Ripercorsi brevemente gli elementi essenziali dell’istituto di cui all’art. 696-bis c.p.c., possono essere ora analizzate le due sentenze della Corte Costituzionale sopra citate, soffermandosi prima, per ragioni di ordine logico, sulla sentenza n. 222 del 21 dicembre 2023, la quale ha trattato il tema dell’ambito di operatività della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della lite.

Nella specie, la questione di legittimità costituzionale era stata posta dal Tribunale di Bari, chiamato a decidere sul ricorso proposto da un soggetto che, dopo aver acquistato un immobile nell’ambito di una procedura esecutiva e dopo averlo ristrutturato, si era accorto che – per un errore nell’assegnazione – tali interventi avevano interessato non l’unità immobiliare aggiudicata, bensì una diversa ad essa adiacente; pertanto, aveva richiesto di disporre una consulenza tecnica preventiva per quantificare l’indennizzo dovuto a titolo di ingiustificato arricchimento.

I resistenti, comproprietari dell’unità immobiliare beneficiaria della ristrutturazione, avevano tuttavia eccepito l’inammissibilità del ricorso, assumendo che il credito indennitario eventualmente maturato dall’ingiustificato arricchimento non rientrerebbe nell’ambito applicativo dell’art. 696-bis c.p.c., trattandosi di una norma invocabile solamente in ipotesi di “crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”: l’azione generale di arricchimento (art. 2041 c.c.), infatti, non è correlata né ai contratti né ai fatti illeciti, ma è riconducibile – secondo lo schema di cui all’art. 1173 c.c. – ad “ogni altro atto o fatto” idoneo a produrre le obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico.

Il Tribunale barese, pur riconoscendo la chiarezza dell’art. 696-bis c.p.c. nel limitare la propria applicabilità alle obbligazioni contrattuali e ai fatti illeciti, ha ritenuto non ragionevole tale distinzione, rilevando un possibile contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Investita della questione di legittimità, la Consulta – dopo aver brevemente ripercorso la genesi e il contenuto della norma in questione – ha analizzato la relazione illustrativa all’art. 696-bis c.p.c., da cui emerge come la finalità principale della consulenza preventiva sia quella di fornire alle parti uno strumento attraverso cui è possibile, nell’ambito della giurisdizione e con la garanzie di terzietà proprie di un consulente tecnico nominato dal giudice, ottenere la “determinazione delle eventuali conseguenze lesive connesse ad inadempimenti nell’esecuzione di prestazioni obbligatorie o a fatti dannosi di natura extracontrattuale, oltrechè ad una pluralità di vicende all’origine di svariate tipologie di controversie”.

Da un tanto la Corte ha dedotto la volontà del Legislatore di permettere di anticipare la formazione della prova rispetto all’inizio del processo, onde evitare l’instaurazione di liti caratterizzate da meri contrasti in punto di fatto.

Per questo motivo all’istituto di cui all’art. 696-bis c.p.c. è stata riconosciuta una natura ibrida: da un lato, come mezzo di istruzione preventiva; dall’altro come rimedio di Alternative dispute resolution (ADR), di cui sono espressione emblematica la mediazione o la negoziazione assistita, strumenti cui si guarda oggi con estremo favore. Più precisamente, nella norma in questione la funzione “conciliativa” viene affidata ad un soggetto estraneo all’ordine giudiziario quale il consulente tecnico, fermo il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della consulenza, che investono sia la fondatezza delle domande oggetto dell’eventuale futura causa, sia la rilevanza – rispetto al potenziale giudizio di merito – dei fatti per i quali si richiede l’indagine peritale, oltre alla necessità di ricorrere alle competenze di un esperto in materia.

E tali strumenti, hanno ricordato i Giudici, rappresentano una “peculiare declinazione del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost.”.

Un tanto esposto, la Corte ha ritenuto fondate le questioni avanzate dal Tribunale di Bari, affermando che la limitazione dell’ambito di applicabilità della norma in questione rappresenta una differenziazione nella tutela dei diritti non supportata da una ragionevole giustificazione, in quanto a parità di situazioni (la necessità di determinare l’ammontare di un credito) vi sarebbe un trattamento ineguale nell’accesso alla tutela giurisdizionale per il mero fatto che un credito origini da un contratto/fatto illecito o da un altro atto o fatto idoneo a produrre un obbligazione; a maggior ragione considerando che l’obbligazione costituisce una nozione giuridica unitaria, che si identifica autonomamente, “a prescindere dalla fonte dalla quale scaturisce”.

In ragione di ciò, riscontrando il contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 696-bis c.c. “nella parte in cui dopo le parole ‘da fatto illecito’ non prevede ‘o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico’”.

3. Reclamabilità dei provvedimenti di rigetto dell’istanza di nomina del consulente tecnico preventivo ai fini della composizione della lite. La sentenza n. 202 del 10 novembre 2023.

La seconda sentenza oggetto del presente contributo ha affrontato il tema dell’impugnabilità del diniego dell’istanza presentata ai sensi dell’art. 696-bis c.p.c., data l’assenza di una specifica previsione nella Sezione IV (“Dei procedimenti di istruzione preventiva”) in cui si colloca la suddetta norma.

Dinanzi al Giudice a quo, il Tribunale di Roma, era stato proposto un reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c. avverso un’ordinanza del giudice monocratico che aveva precedentemente rigettato un ricorso ex art. 696-bis c.p.c.; i resistenti ne avevano però eccepito l’inammissibilità, alla luce della differente natura dello strumento di istruzione preventiva rispetto al procedimento cautelare in cui si inserisce l’art. 669-terdecies c.p.c., da cui si desumerebbe l’inapplicabilità di quest’ultima disposizione.

Il Tribunale ha tuttavia riscontrato un possibile profilo di illegittimità del combinato disposto degli artt. 669-terdecies e 695 c.p.c. rispetto agli artt. 3 e 24 Cost., posto che l’esclusione della possibilità di reclamare la suddetta istanza avrebbe comportato un’irragionevole disparità rispetto alla disciplina relativa all’istanza di accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 696 c.p.c., che prevede, pur non espressamente, la reclamabilità del diniego.

Premettendo un’analisi del contenuto, dello scopo e della ratio della norma (di cui si è già abbondantemente discorso sopra), la Corte Costituzionale si è soffermata sulla sistematica codicistica, osservando che il Legislatore ha inserito l’art. 696-bis nella Sezione IV del Codice di procedura civile, relativa ai “Procedimenti di istruzione preventiva”, a sua volta facente parte del Capo III dedicato ai “Procedimenti cautelari”; inoltre, con un espresso rinvio normativo il Legislatore ha stabilito l’applicabilità del medesimo procedimento previsto per l’art. 696 c.p.c., il quale rinvia all’art. 695 c.p.c.; quest’ultima norma stabilisce che il giudice deve decidere sull’istanza di ammissione del mezzo di prova con ordinanza non impugnabile.

La Corte ha altresì ricordato come, con la sentenza n. 144/2008, avesse tuttavia già tacciato di incostituzionalità l’art. 695 c.p.c. nella parte in cui non contemplava la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 (“Assunzione di testimoni”) e 696 c.p.c. (“Accertamento tecnico e ispezione giudiziale”). E sulla scorta delle proprie precedenti decisioni la Consulta ha ritenuto fondate anche le questioni sollevate dal Tribunale di Roma.

Ma andiamo con ordine.

Il diritto fondamentale di agire in giudizio di cui all’art. 24 Cost. ha importanti riflessi anche in relazione alle ordinanze, nei cui confronti può essere previsto un mezzo di impugnazione (come il reclamo), pur non essendovi una regola generale sul punto: l’ordinanza, infatti, rimane un provvedimento modificabile e revocabile dal giudice che l’ha pronunciata, ed è inidonea a pregiudicare la decisione della causa (art. 177, co. 1 c.p.c.). Ciò posto, se è vero che resta in capo al Legislatore la discrezionalità sulla previsione o meno della possibilità di reclamare determinate ordinanze, è anche vero che tale scelta normativa deve risultare ragionevole e coerente con l’intero sistema processual-civilistico.

In relazione agli istituti qui di interesse, si è dato atto che, nella sistematica codicistica, il reclamo di cui all’art. 669-terdecies c.p.c. trova applicazione contro i provvedimenti cautelari di sequestro, di denuncia di nuova opera e di danno temuto, oltre che nei confronti dei provvedimenti d’urgenza. L’applicabilità ai procedimenti di istruzione preventiva, pur disciplinati nel medesimo Capo (artt. 692-699 c.p.c.), è stata invece esclusa dal Legislatore, secondo cui un provvedimento di rigetto del ricorso non sarebbe pregiudizievole per il proponente, trattandosi di uno strumento volto solo a soddisfare anticipatamente il diritto alla prova e, pertanto, agevolmente riproponibile.

Tale interpretazione è stata tuttavia ritenuta non in linea con i dettami costituzionali: la Corte ha infatti affermato che la disciplina in materia di istruzione normativa “fa parte della tutela cautelare, della quale condivide la ratio ispiratrice che è quella di vietare che la durata del processo si risolva in un pregiudizio della parte che dovrebbe veder riconosciute le proprie ragioni”. In ragione di ciò, come anticipato, con la sentenza n. 144/2008 aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 669-quaterdecies e 695 c.p.c. nella parte in cui non prevedevano la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 c.p.c., ossia l’audizione di testimoni, l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale. Già in tale sede la Corte aveva sancito l’irrilevanza del fatto che un ricorso possa essere riproposto ove rigettato, precisando che non vi è equivalenza quanto a tutela giurisdizionale tra riproponibilità dell’istanza al medesimo giudice che già l’abbia respinta e reclamabilità davanti ad un altro giudice.

Per quanto concerne l’art. 696-bis c.p.c., la Corte ha affermato che – oltre alla natura di strumento di istruzione preventiva – rileva anche la sua funzione conciliativa e deflattiva del carico giudiziario, propria dei rimedi di Alternative dispute resolution.

Pertanto, fermo quanto affermato in relazione all’art. 696 c.p.c., il rigetto della richiesta di espletamento di una consulenza tecnica avrebbe un’ulteriore grave conseguenza, poiché priverebbe definitivamente la parte di un’importante facoltà processuale diretta alla possibile composizione della lite, arrecando al diritto di agire in giudizio (costituzionalmente tutelato dall’art. 27) una compromissione financo maggiore del rigetto di un accertamento tecnico ai sensi dell’art. 696 c.p.c.

Per tutti questi motivi, al fine di assicurare una “equivalenza” delle garanzie in relazione a provvedimenti aventi un analogo contenuto minimo sul piano effettuale, è stato ritenuto applicabile il rimedio del reclamo di cui all’art. 669-terdecies c.p.c. anche in relazione ai provvedimenti privi di natura d’urgenza, ma “altrettanto meritevoli di tutela sotto il profilo tanto sostanziale che processuale”.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 669-quaterdecies e 695 c.p.c. “nella parte in cui non consentono di utilizzare lo strumento del reclamo, previsto dall’art. 669-terdecies c.p.c. avverso il provvedimento che rigetta (anche per ragioni di inammissibilità) il ricorso per la nomina del consulente tecnico preventivo ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696-bis del medesimo codice”.

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