Con la sentenza n. 821/2017 del 3.10.2017 la Corte d’Appello di Torino ha affrontato il tema della responsabilità del datore di lavoro sotto il duplice profilo dell’art. 2049 c.c., per il fatto illecito commesso dal dipendente, e dell’art. 2087 c.c., per l’omessa adozione di misure idonee a tutelare l’integrità fisica e morale del proprio dipendente.

Il Tribunale di Torino aveva condannato un datore di lavoro al risarcimento del danno subito da una dipendente la quale, durante il proprio turno di lavoro, aveva subito una violenza sessuale da parte di un collega (successivamente condannato in sede penale). Nonostante la stessa lavoratrice avesse chiesto al proprio datore di lavoro di prendere provvedimenti nei confronti dell’aggressore e di adottare tutte le misure idonee a consentirle di poter tornare al lavoro in sicurezza al termine del periodo di malattia, nessuna misura era stata tuttavia in concreto presa.

Ciò premesso, con riferimento all’accertamento della responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c., la Corte d’Appello, ripercorrendo la condotta tenuta dal datore di lavoro appellante alla luce delle informazioni di cui lo stesso al tempo disponeva, rileva che questi aveva deciso di non prendere alcun provvedimento nei confronti del dipendente accusato, non aveva avviato alcuna indagine interna ed aveva mantenuto una posizione di imparzialità, in attesa dell’esito delle indagini della Procura. Tale intendimento è stato ritenuto dai giudici completamente illegittimo. Il datore di lavoro aveva, inoltre, omesso di adottare in concreto provvedimenti idonei a consentire alla dipendente di rientrare dalla malattia e lavorare in sicurezza: aveva unicamente proposto una differente turnazione che, però, data la natura della struttura di lavoro, non sarebbe riuscita ad evitare i contatti tra le persone coinvolte. L’appellante, infine, non aveva nemmeno preso in considerazione la richiesta avanzata dalla lavoratrice di venire trasferita in diversa struttura; misura che, secondo la Corte, sarebbe stata invece l’unica idonea a tutelare la lavoratrice.

La Corte conferma, quindi, la responsabilità del datore di lavoro per omessa tutela delle condizioni di lavoro della ricorrente, cagionata attraverso la mancata adozione di misure idonee, nonché l’inadeguatezza di quelle proposte, per tutelarne l’integrità fisica e morale.

Quanto al profilo della responsabilità oggettiva dell’appellante per il danno arrecato dal fatto illecito del dipendente nell’esercizio delle proprie incombenze ai sensi dell’art. 2049 c.c., la Corte d’Appello conferma quanto stabilito dal giudice di prime cure.

Innanzitutto, la Corte d’Appello ribadisce come sia pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui il datore di lavoro è responsabile anche quando tra le incombenze e l’evento dannoso sussista solo un rapporto di occasionalità necessaria. Tale responsabilità è invece da ritenersi esclusa solo nel caso in cui il fatto lesivo venga commesso per finalità personali o del tutto estranee alla mansione. Nel caso di specie, l’occasionalità necessaria viene rinvenuta nella scusa addotta dal dipendente per attirare la collega in un luogo appartato, poiché riferibile ad un’incombenza cui i lavoratori erano adibiti. La Corte d’Appello fornisce, quindi, un’interpretazione estesa del concetto di occasionalità necessaria nel caso in cui il fatto dannoso sia un reato doloso, contribuendo quindi ad allargare le maglie della responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2049 c.c..

È confermata, infine, anche la sussistenza di una giusta causa di dimissioni della  lavoratrice, la quale “perviene a risolvere il rapporto di lavoro con effetto immediato (…) perché sopravvengono ragioni addebitabili al datore di lavoro che non consentono la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro” con conseguente condanna dell’appellante al pagamento dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso.

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