Con la sentenza n. 18991 del 27.09.2016, la Suprema Corte, chiamata ad esprimersi in ordine alle censure mosse alla sentenza della Corte d’Appello territoriale da parte del conduttore di un immobile, secondo il quale quest’ultima non avrebbe considerato, per escludere la gravità dell’inadempimento, la condotta tollerante del locatore – che solo dopo un anno dall’ultimo pagamento aveva diffidato il conduttore ad adempiere -, richiama la giurisprudenza relativa alla reviviscenza dell’efficacia della clausola risolutiva espressa. Clausola che, come noto, tutela la parte che ha interesse all’adempimento, consentendole, in presenza di un inadempimento della controparte, di sciogliersi dal vincolo contrattuale semplicemente dichiarando di voler avvalersi della detta clausola.

Ebbene, nell’ambito di tale pronuncia, La Corte osserva come “la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine pattuito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto, ma essa riprende la sua efficacia qualora il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni.

Quanto sopra, con conseguente declaratoria da parte dei giudici di Cassazione, della legittimità della risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, dichiarata dal Giudice di prime cure e confermata dalla Corte di Merito nel giudizio d’appello.

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