Con la sentenza n. 28987/2019, la Suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi sul diritto di rivalsa nel rapporto interno tra la struttura sanitaria ed il medico. I fatti di causa sono accaduti prima dell’entrata in vigore della Riforma Gelli – Bianco (legge 8.marzo 2017, n. 24), ma nella sostanza la Corte di Cassazione anticipa già gli effetti della riforma, che all’art. 9 regola l’azione di rivalsa, limitandola significativamente sia nell’an che nel quantum in favore del medico.

Nella sentenza la Suprema Corte ribadisce la differenza tra l’art. 1228 c.c. – responsabilità per fatto degli ausiliari – e l’art. 2049 c.c. – responsabilità dei padroni e dei committenti -.

Nella prima ipotesi il debitore esegue la propria obbligazione a mezzo dell’ausiliario e quindi si avvale di un’organizzazione nel cui ambito l’ausiliario è incardinato nel programma obbligatorio originario. Esattamente questo accade nella struttura sanitaria che ha volontariamente incaricato il medico per poter adempiere l’obbligazione pattuita col paziente. Se quindi il medico non adempie esattamente il programma concordato o adempie male, la struttura sanitaria risponde ex art. 1218 c.c. per un fatto proprio e non per un fatto altrui, come invece avviene nel secondo caso, ovvero nell’ipotesi dell’art. 2049 c.c. (Cass. Sez. U. 16.5.2019 n. 13246).

La responsabilità del debitore per fatto dell’ausiliario è quindi una responsabilità diretta per fatto proprio, mentre quella del committente per fatto illecito causato dal commesso nell’esercizio delle proprie incombenze è una responsabilità indiretta per fatto altrui.

Tali circostanze differenti richiedono anche soluzioni differenti. Nella prima ipotesi, che è quella della struttura sanitaria, la responsabilità tra struttura sanitaria e medico va ripartita anche per l’ipotesi di colpa esclusiva del medico. Questa ripartizione trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento (Cass. 27.3.2015, n. 6243). In altri termini, l’errore del medico fa parte del rischio d’impresa che chiaramente deve assumersi la struttura sanitaria e non il medico.

L’errore del medico è imputabile a tutti e due i soggetti: sia al medico che ha commesso l’errore, sia all’impresa che non ha adempiuto quanto dovuto, fatto dannoso che innesca un’obbligazione solidale al risarcimento ai sensi dell’art. 2055 c.c. L’art. 2055 c.c. co. 1, “richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone e anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma dev’essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come – ovvero si astrae dalla – identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass. 17/01/2019, n. 1070, Cass. 16/12/2005, n. 27713).

Questa responsabilità tra struttura sanitaria e medico va ripartita ex art. 1298 c.c. Quindi la misura del regresso dipende dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il co. 2 dell’art. 1298 c.c. prevede una presunzione di parti uguali, se non risulta diversamente; in altri termini, se non viene fornita una prova in base alla quale la ripartizione dell’addebito dovrà avvenire diversamente.

La Corte conclude quindi, affermando il seguente principio di diritto (massima): “In tema di azione di rivalsa nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all’utilizzazione di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione.

Va ancora segnalato, nell’ipotesi della responsabilità del committente nei confronti del proprio dipendente ex art. 2049 c.c., che il committente, una volta risarcito il danno al terzo, può agire in regresso nei confronti del proprio dipendente – unico autore del fatto – anche per l’intero e non “pro quota”.

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