Con la sentenza del 18.01.2024, emessa nella causa C-631/22, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che l’art. 5 della direttiva 2000/78 rubricato “soluzioni ragionevoli per i disabili”, letto con riferimento agli artt. 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e degli artt. 2 e 27 Convenzione ONU sui diritti per le persone con disabilità (CRPD), deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che consenta ad un datore di lavoro  di far cessare il contratto di lavoro per il fatto che il lavoratore si trovi in uno stato di inidoneità permanente a svolgere i compiti contrattualmente previsti, a causa del sopravvenire, nel corso del rapporto di lavoro, di una disabilità, senza che il datore di lavoro debba prima prevedere o mantenere soluzioni ragionevoli al fine di consentire al lavoratore di conservare il posto di lavoro, né dimostrare, eventualmente, che tali soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato.

In particolare, va osservato che la CGUE, richiamando altre proprie decisioni (cfr. sentenza del 21.10.2021, Komisia za zashtita ot diskriminatsia, C-824/19, EU:C:2021:862, punto 59 e giurisprudenza ivi citata), ha ribadito che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata in conformità con le disposizioni della summenzionata Convenzione ONU, al cui art. 2 viene previsto che per “discriminazione fondata sulla disabilità” si intende “qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Tale nozione comprende tutte le forme di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole. Per quanto riguarda tali accomodamenti, dalla formulazione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce dei considerando 20 e 21 di quest’ultima, risulta che il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti appropriati, vale a dire provvedimenti efficaci e pratici, tenendo conto di ciascuna situazione individuale, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione senza imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato (sentenza del 10 febbraio 2022, HR Rail, C-485/20, EU:C:2022:85, punto 37). A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che, qualora un lavoratore divenga definitivamente inidoneo ad occupare il suo posto di lavoro a causa della sopravvenienza di un handicap, la sua riassegnazione a un altro posto di lavoro può costituire un provvedimento appropriato nell’ambito delle soluzioni ragionevoli, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, in quanto consente a tale lavoratore di conservare l’occupazione, garantendo la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale in base al principio di uguaglianza con gli altri lavoratori (v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2022, HR Rail, C-485/20, EU:C:2022:85, punti 41 e 43). Ciò posto, occorre osservare che l’articolo 5 della direttiva 2000/78 non può obbligare il datore di lavoro ad adottare provvedimenti che gli impongano un onere sproporzionato. A tale proposito, dal considerando 21 di tale direttiva discende che, per determinare se le misure in questione diano luogo a oneri sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni. Inoltre, occorre precisare che, in ogni caso, la possibilità di assegnare una persona disabile a un altro posto di lavoro esiste solo in presenza di almeno un posto vacante che il lavoratore interessato può occupare (sentenza del 10 febbraio 2022, HR Rail, C-485/20, EU:C:2022:85, punti 45 e 48). Di conseguenza, la nozione di “soluzioni ragionevoli” implica che un lavoratore il quale, a causa della sua disabilità, sia stato dichiarato inidoneo alle funzioni essenziali del posto da lui occupato, sia riassegnato ad un altro posto per il quale presenta le competenze, le capacità e le disponibilità richieste, purché tale misura non imponga al suo datore di lavoro un onere sproporzionato (v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2022, HR Rail, C-485/20, EU:C:2022:85, punto 49)”. Ne consegue, sempre secondo la CGUE, che una normativa nazionale, in forza della quale, un lavoratore disabile rischia di perdere il posto di lavoro per potere beneficiare di una prestazione previdenziale (e vedersi riconosciuta l’inidoneità permanente totale ad esercitare la professione abituale), inficia e pregiudica i dettami dell’art. 5 della direttiva 2000/78 in combinato disposto con l’art. 27 par. 1 della citata Convenzione ONU, per cui occorre “garantire e favorire l’esercizio del lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, nonché il mantenimento nel posto di lavoro”.

<< torna a tutte le notizie