La Corte Costituzionale con sentenza n. 242 dd. 25.09.2019 (pubbl. dd. 22.11.2019) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

La decisione è inserita nel processo pendente davanti alla Corte d’Assise di Milano a carico di Fabio Cappato, imputato per aver fornito aiuto a “DJ Fabo”, suicidatosi in una clinica svizzera nel febbraio 2017. La questione di costituzionalità dell’art. 580 c.p. è stata sollevata – su richiesta dei PM – nei seguenti termini:

–          “Nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13, I comma e 117 della Costituzione in relazione agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo;

–          Nella parte in cui prevede che le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell’aspirante suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, senza distinzione rispetto alle condotte di istigazione, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13, 25, II comma e 27, III comma della Costituzione.”

Nel caso di specie la Corte ha fatto ricorso ad un procedimento inusuale, considerata la delicatezza della questione trattata e l’esistenza di evidenti profili di incostituzionalità: infatti, con ordinanza motivata n. 207/2018 ha, prima, rinviato l’udienza dando tempo al legislatore – in ossequio al principio di separazione dei poteri – per regolamentare la materia, sulla base dei rilievi di incostituzionalità contenuti nel provvedimento stesso. Poi, considerata l’assenza di ogni determinazione nei tempi stabiliti e l’urgenza di un intervento volto a ripristinare la legalità costituzionale violata, la Corte si è pronunciata sul merito delle questioni nei medesimi termini rivolti al legislatore di cui all’ordinanza n. 207/18.

Premesso l’implicito rapporto di subordinazione del secondo profilo di costituzionalità rispetto al primo, la Corte ha, innanzitutto, escluso che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio, ancorchè non rafforzativo del proposito della vittima, possa ritenersi di per sé in contrasto con la Costituzione, dal momento che:

1.      Il riferimento al diritto alla vita (art. 2 CEDU e, indirettamente, art. 2 Cost.) non è pertinente perché l’obbligo di tutela della vita non può ritenersi includere anche il riconoscimento all’individuo della possibilità di ottenere un aiuto a morire;

2.      Il diritto all’autodeterminazione individuale non consente di desumere la generale inoffensività dell’aiuto al suicidio: pur essendo superata la originaria concezione di sacralità ed indisponibilità della vita, la ratio della norma deve oggi continuare a scorgersi nella tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili;

3.      Le medesime considerazioni escludono il contrasto con l’art. 8 della CEDU che sancisce il diritto di ciascun individuo al rispetto della propria vita privata.

L’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. è stata, pertanto, circoscritta rispetto al petitum dei giudici a quo ai soli casi in cui l’aspirante suicida si identifichi – come nel caso di specie – in “una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Lo sviluppo della scienza e della medicina conducono oggi a situazioni un tempo inimmaginabili in cui il mantenimento artificiale in vita può essere considerato non più tollerabile e l’unica via d’uscita viene rinvenuta nell’assistenza di terzi per porre fine alla propria vita, anche alla luce del diritto della persona di rifiutare le cure in base all’art. 32 della Costituzione. La legge n. 2019/2017 già consente di decidere se interrompere trattamenti di sostegno vitale con contestuale sottoposizione a sedazione profonda continua per alleviare le sofferenze. Ma tale legislazione non consente di mettere a disposizione del paziente trattamenti diretti a provocarne la morte, la quale – per effetto dell’interruzione dei trattamenti – potrebbe intervenire anche dopo un periodo di apprezzabile durata, modalità non dignitosa di porre fine alla propria vita.

In questo specifico ambito, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare ingiustificatamente ed irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost.

In conclusione, l’indiscriminata repressione penale dell’aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p. entra in frizione con i precetti costituzionali evocati nei casi in cui venga agevolata l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella trova intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Consapevole dell’esigenza di evitare che la sottrazione pura e semplice di tale condotta alla sfera di operatività della norma incriminatrice possa dare luogo a intollerabili vuoti di tutela visti i valori protetti generando il pericolo di abusi “per la vita di persone in situazioni di vulnerabilità”, la Corte, utilizzando come punto di riferimento la disciplina di cui agli artt. 1 e 2 della L. 219/17 ha esteso al caso di specie la procedura medicalizzata ivi contenuta, al fine di delimitare le condizioni di non punibilità delle condotte di aiuto al suicidio. In particolare, trattasi di:

–          Verifica medica della sussistenza dei presupposti per richiedere l’aiuto, al fine di accertare la capacità di autodeterminazione del paziente ed il carattere libero e informato della scelta;

–          Prospettazione al paziente da parte del medico delle conseguenze della decisione e le possibili alternative;

–          Coinvolgimento dell’interessato in un percorso di cure palliative;

–          Verifica delle condizioni deve restare affidata a strutture pubbliche del SSN, le quali verificano anche le relative modalità di esecuzione;

–          Intervento di un organo collegiale terzo (comitati etici territoriali) per garantire la tutela delle situazioni di vulnerabilità e dei diritti e dei valori della persona.

Con riferimento ai fatti anteriori alla pubblicazione della sentenza, la non punibilità dell’aiuto al suicidio rimane subordinata al fatto che l’agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse, ma pur sempre idonee ad offrire garanzie sostanzialmente equivalenti.

 

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