Nella recente sentenza 27334 del 16 settembre 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di licenziamento intimato durante il periodo di malattia (c.d. periodo di comporto), stabilendo che il combinato disposto della L. n. 300 del 1970 articolo 18, commi 4 e 7, modificato dalla L. n. 92 del 2012, è destinato a regolare il regime della nullità per violazione dell’articolo 2110, comma 2, c.c., in deroga alla disciplina delle nullità prevista dai commi 1 e 2 del medesimo articolo 18 ed a prescindere dal requisito dimensionale del datore di lavoro. Pertanto, in tali fattispecie, anche ai lavoratori delle imprese che non raggiungano il requisito dimensionale ex art. 18 comma 8 Legge 300/70 come succ. mod., si applica la medesima tutela reintegratoria attenuata fissata per le grandi imprese.

Segnatamente, la Suprema Corte ha deciso che: “Al di là dello speciale regime sanzionatorio applicabile, il licenziamento in violazione dell’articolo 2110 c.c. resta quindi assoggettato alla disciplina generale del licenziamento nullo le cui conseguenze, per espressa previsione normativa (già l’articolo 3 della L. 108 del 1990 ed ora l’articolo 18, comma 1, modificato dalla L. 92 del 2012) sono indifferenti al “numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”, e tale previsione che non è attratta nella deroga disposta, quoad poenam, dal comma 7. D’altra parte, la categoria giuridica della nullità, in quanto volta alla protezione di beni di rilievo costituzionale, è di applicazione generale e non consente diverse articolazioni. Ciò comporta l’irrilevanza, rispetto alla fattispecie di cui si discute, del criterio selettivo basato sul numero dei dipendenti che, se può giustificare livelli diversi di tutela in ipotesi di licenziamento annullabile (v. Corte Cost., sentenze n. 81 del 1969 e n. 55 del 1974), non può legittimare una diversificazione conseguenze del licenziamento nullo. L’interpretazione accolta, che si pone in continuità con la sentenza delle Sezioni Unite n. 12568 del 2018, oltre che coerente con criteri di ordine sistematico e con la scelta legislativa di raccogliere nel comma 1 dell’articolo 18 tutte le ipotesi di nullità del licenziamento a prescindere dal numero dei dipendenti occupati, è la sola compatibile con l’esigenza di garantire ragionevolezza al sistema delle tutele nel caso di licenziamento, esigenza più volte sottolineata dalla Corte Costituzionale nelle pronunce adottate su questioni attinenti alla L. n. 92 del 2012 e al Decreto Legislativo n. 23 del 2015 (v. Corte Cost., sentenze n. 194 del 2018; n. 150 del 2020; n. 59 del 2021; n. 183 del 2022). Una diversa opzione interpretativa, che riconducesse il licenziamento nullo per violazione dell’articolo 2110, comma 2, c.c., nel comma 1 dell’articolo 18 per alcuni lavoratori (in regime di tutela obbligatoria) e nel comma 7 per altri (in regime di tutela reale), creerebbe nel sistema una vistosa irrazionalità, in quanto ai dipendenti aziende più piccole sarebbe riservata una tutela più forte rispetto ai lavoratori di aziende di grandi dimensioni, e vanificherebbe lo sforzo legislativo di sistematizzare la disciplina del licenziamento viziato da nullità. Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto “Nel sistema delineato dal L. n. 300 del 1970 articolo 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, il licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110, comma 2, c.c., è nullo e le sue conseguenze sono disciplinate, secondo un regime sanzionatorio speciale, dal comma 7, che a sua volta rinvia al comma 4, del medesimo articolo 18, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro“.

<< torna a tutte le notizie