Nell’ambito della recente sentenza n. 23653 del 21.11.2016, la Suprema Corte di Cassazione si sofferma sul tema delle malattie professionali – consistenti, come noto, in una lesione dell’integrità psico-fisica occorsa durante l’espletamento di una certa attività lavorativa e suddivise in tabellate e non tabellate – e del riconoscimento delle stesse da parte dell’INAIL.

Nel soffermarsi sulla questione, la Corte di Cassazione ribadisce innanzitutto il principio di diritto per il quale, in materia di tutela assicurativa delle malattie professionali, “la tabellazione rappresenta l’approdo e la cristallizzazione di giudizi scientifici sull’esistenza del nesso di causalità; la tabella è prevista dalla Legge, viene redatta ed aggiornata in base alla Legge, proprio allo scopo di agevolare il lavoratore esposto a determinati rischi nella dimostrazione del nesso di causalità sul terreno assicurativo INAIL, talché, quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore basterà provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva (anch’essa tabellata) perché il nesso eziologico sia presunto dalla Legge (sempre che la malattia sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella)”.

Con specifico riferimento ai fatti di causa, la Suprema Corte precisa, peraltro, che nel caso di un tumore polmonare (malattia di natura multifattoriale), correlato all’esposizione ad amianto, il fattore di rischio risulta tabellato in termini ampi (“lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto”) e senza indicazione di soglie quantitative, qualitative e temporali, dovendosi perciò osservare che “chi sia stato esposto all’amianto per motivi professionali (anche soltanto ambientali), ha diritto di vedersi riconosciuta l’origine professionale della malattia ed erogata la tutela assicurativa sociale prevista dalla Legge, quand’anche sia stato fumatore, quand’anche abbia vissuto nelle vicinanze di un’industria altamente inquinante, quand’anche risultino nel giudizio altre condizioni di confondimento che non assurgano però al ruolo di fattori alternativi di tipo esclusivo.

Ne consegue, in definitiva, che in presenza di forme tumorali, che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, opera una presunzione legale quanto a tale origine, con la conseguenza che sarà l’INAIL ad essere “onerato di dare la prova contraria, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio, in quanto quest’ultima sia cessata da lungo tempo.

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