Con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile sono intervenute sulla questione relativa alla tutela riconoscibile al soggetto che ha stipulato un contratto di fideiussione “a valle”, in caso di nullità delle condizioni stabilite “a monte” nelle intese tra imprese; tale decisione si era resa necessaria in ragione di un contrasto giurisprudenziale dal quale erano emerse molteplici soluzioni a tutela del fideiussore: la sanzione della nullità totale del contratto a valle; la nullità parziale, limitata alle sole clausole riproduttive delle condizioni dell’intesa a monte; la mera tutela risarcitoria.

La fattispecie oggetto del procedimento traeva origine da un giudizio instaurato da un soggetto che aveva sottoscritto due fideiussioni a garanzia di due distinti rapporti tra la società del fideiussore e la Sanpaolo Imi S.p.a. (divenuta Sanpaolo S.p.a.). Essendo stati risolti i contratti principali, e risultata infruttuosa l’escussione del debitore principale, Intesa Sanpaolo aveva agito contro il fideiussore, chiedendone la condanna al pagamento; in un separato giudizio il fideiussore aveva tuttavia citato l’Istituto chiedendo che venisse dichiarata la nullità dei due contratti per violazione della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) (“Legge Antitrust”); in subordine, domandava l’accertamento della nullità delle sole clausole contenute negli artt. 2, 6 e 8 dei suddetti contratti e del fatto che, di conseguenza, nulla era dovuto all’istituto di credito in ragione dell’intervenuta decadenza ex art. 1957 c.c.

Nello specifico, i contratti di fideiussione erano stati stipulati in base ad uno schema negoziale predisposto nel 2002 dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), le cui clausole nn. 2, 6 e 8 erano state tuttavia oggetto di una critica manifestata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (all’epoca la Banca d’Italia), espressa nel parere n. 14251, in quanto suscettibili “di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito” e di “accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore”. Con provvedimento n. 55 del 2005, la Banca d’Italia dichiarava quindi la nullità di tre specifiche clausole: la cd “clausola di reviviscenza” (art. 2, che obbliga il fideiussore a rimborsare alla banca le somme da lei incassate in pagamento di obbligazioni garantite ma poi restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei versamenti), la cd “clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.” (art. 6, in forza della quale i diritti della banca restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore entro determinati limiti di tempo) e la cd “clausola di sopravvivenza” (art. 8, a mente della quale la fideiussione garantisce l’obbligo del debitore di restituire le somme a lui erogate anche qualora le obbligazioni fossero dichiarate invalide).

Esposte brevemente le diverse posizioni giurisprudenziali e dottrinali emerse nel tempo, con la sentenza oggetto di questo commento le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover accogliere la tesi della “sanzione parziale”, perché considerata più aderente alle finalità e agli obiettivi della normativa antitrust, la cui ratio essenziale è volta a realizzare un bilanciamento tra concorrenza e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori. Considerato il fondamento della normativa, è altrettanto chiara la sanzione caducatoria prevista dall’art. 2, comma 3 L. 287/1990, ai sensi del quale “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. In ragione di ciò, tutelando la disciplina sia l’interesse del singolo, sia il mercato in senso oggettivo, è evidente – afferma la Cassazione- che la sola tutela risarcitoria non sarebbe ammissibile in una simile fattispecie. Dello stesso avviso si è rivelata essere anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha in più occasioni chiarito che sul piano del diritto unionale (all’interno del quale la normativa Antitrust e la tutela dei mercati svolgono un ruolo di primo piano) il comune denominatore per l’intero spazio europeo è dato anzitutto dal diritto al risarcimento del danno, che costituisce la forma base di tutela del consumatore; ciononostante, è stata riconosciuta la piena competenza degli Stati nel prevedere ulteriori misure (da coordinare con i rispettivi ordinamenti interni) più idonee a tutelare i diversi interessi coinvolti nella vicenda (da quello relativo ai mercati, a quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria).

Oltre a tali riferimenti, i Giudici di legittimità hanno ritenuto opportuno richiamare altresì il principio di “conservazione” del negozio, cui l’ordinamento guarda con notevole favore anche in relazione a quegli atti dell’autonomia privata difformi dallo schema negoziale, dovendosi così attribuire natura eccezionale alla sanzione della nullità totale nell’ipotesi in cui il vizio colpisca solo determinate clausole. Tale valutazione deve essere effettuata considerando l’interesse delle parti e l’eventualità che le stesse avrebbero comunque concluso il contratto anche senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità, in quanto “agli effetti dell’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1419 c.c., vige la regola secondo cui la nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale, se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti”.

Nel caso di specie – e, in generale, per quanto concerne i contratti di fideiussione – è opinione della Cassazione che, da un lato, si deve presumere che il fideiussore avrebbe in ogni caso prestato la garanzia anche senza le clausole viziate, sia perché le stesse erano per lui più gravose, sia perché stante il suo legame con il debitore principale, è anch’egli portatore di un interesse economico al finanziamento bancario; d’altra parte, anche l’imprenditore ha interesse a mantenere in vita la garanzia, considerato che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione e, conseguentemente, una minore garanzia dei propri crediti.

Tale considerazione non esclude tuttavia che il contratto a valle possa essere dichiarato integralmente nullo qualora la sua stessa conclusione si configuri come restrittiva della concorrenza, ovvero laddove sia riscontrabile tra atto a monte e contratto a valle un nesso che faccia apparire la connessione tra i due atti “funzionale” a produrre un effetto anticoncorrenziale.

In conclusione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, fondando la propria statuizione sui princìpi sopra espressi, ha affermato che “i contratti di fideiussione stipulati a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, co. 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, co. 3 della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

Da ultimo si fa presente che la Cassazione ha altresì esposto alcune conseguenze processuali derivanti dall’applicazione di tale principio, quali la rilevabilità d’ufficio della nullità, l’imprescrittibilità della relativa azione di nullità e – ove ne ricorrano i presupposti – la proponibilità della domanda di ripetizione dell’indebito, ferma restando l’azione di risarcimento dei danni.

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