Con la recente sentenza n. 16508 del 16.05.2017 la Corte di Cassazione si è espressa in punto di responsabilità omissiva, riponendo particolare attenzione sul tema legato alla verifica della sussistenza del nesso di causalità.

La pronuncia in parola trae origine da un fatto occorso nell’ottobre del 2002, quando durante un’udienza celebrata nell’ambito di un giudizio di divorzio dinanzi al Tribunale di Varese, il marito estraeva una pistola ed esplodeva alcuni colpi, uccidendo la moglie.

Il fatto portava alla condanna dell’uomo in sede penale per omicidio volontario, mentre in sede civile i prossimi congiunti della vittima (la sorella ed il padre) instauravano un giudizio nei confronti del Ministero della Giustizia, al fine di vederlo condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’omicidio. Sostenevano infatti, gli attori, che all’epoca era presente presso il Tribunale di Varese un metal detector non funzionante il giorno dell’evento, al pari del servizio di sicurezza sostitutivo tramite guardie giurate predisposto dal Tribunale; circostanza che si presentava come fattore causale determinante l’evento.

La domanda attorea veniva accolta in primo grado e confermata in appello.

Il Ministero della Giustizia presentava, quindi, ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, il quale veniva rigettato prendendo le mosse da un precedente (cfr. sentenza n. 10285/2009, resa nel noto caso della tragedia di Ustica) in occasione del quale la medesima Corte così si era espressa: “l’omissione di un certo comportamento rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’impedimento di quell’evento”. Ne consegue che preliminare alla verifica della sussistenza del nesso causale risulta “la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto.”

Secondo la Suprema Corte il D.M. 28 ottobre 1993, che pone a carico del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello l’adozione dei provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza delle strutture in cui si svolge l’attività giudiziaria, fonda un obbligo giuridico di garantire la sicurezza e l’incolumità non solo dei magistrati e del personale ammnistrativo, bensì di tutti i soggetti che, anche occasionalmente, si rechino in Tribunale ai fini dell’esercizio e della tutela del proprio diritto di difesa o ai fini dell’assolvimento di specifici doveri, quali per esempio quelli connessi all’ufficio di testimone.

Prosegue ancora la Corte, evidenziando come i Palazzi di Giustizia siano luoghi caratterizzati, per loro natura, da una conflittualità che può essere molto accesa in confronto agli altri uffici pubblici. Il cittadino deve pertanto potersi ivi recare “nella piena tranquillità della sua sicurezza ed incolumità personale.”

Contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, la Suprema Corte non ritiene quindi affatto necessario individuare una specifica norma, che preveda uno preciso obbligo di attivarsi per impedire l’evento. “Sul Ministero della Giustizia grava, attraverso la figura del procuratore generale della corte d’appello, un obbligo assai ampio di protezione e tutela, obbligo generico che, proprio alla luce della giurisprudenza citata, è in grado di fondare un giudizio di colpevolezza omissiva, costituendo esplicazione del principio generale del neminem laedere”. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, secondo la Cassazione sussiste nel caso di specie il nesso di causalità tra l’omissione delle misure di sicurezza e l’evento: l’omicidio, benché caratterizzato dalla premeditazione e sebbene realizzabile anche in altro luogo, è avvenuto proprio in quanto in Tribunale mancava il sistema di sicurezza: se, infatti, il metal detector fosse stato funzionante, il fatto non si sarebbe verificato.

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