La normativa in tema di vigilanza e controllo nel rapporto di lavoro (artt. 2, 3, 4, 5 e 6 Statuto dei Lavoratori) è frutto di un bilanciamento tra la dignità e libertà del lavoratore (artt. 1, 3, 35 e 38 Cost.) e il libero esercizio dell’attività economica imprenditoriale (art. 41. Cost.), segnatamente, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato è precluso al datore di lavoro il controllo per mezzo di soggetti esterni diretto ad accertare l’esatto adempimento dell’attività lavorativa, tuttavia, viene ammesso quello finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale ovvero ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti, per quanto nei limiti stabiliti dalla normativa vigente.

Con riferimento alla predetta tematica, si segnala la recente pronuncia n. 25287 del 24.08.2022, con cui la Suprema Corte ha riconosciuto l’illegittimità del controllo svolto da un’agenzia investigativa per mezzo del quale il lavoratore era stato licenziato. Nella fattispecie, il datore di lavoro si era avvalso delle risultanze delle investigazioni svolte da un’agenzia investigativa nell’ambito di una più ampia indagine avente ad oggetto la violazione dei permessi dell’art. 33 Legge 104/92 da parte di una collega, con cui il lavoratore era stato più volte ripreso, per contestare a quest’ultimo di essersi allontanato in orario di lavoro dal luogo di lavoro, per compiti estranei alla propria attività lavorativa, in luoghi distanti anche decine di chilometri. Nello specifico, con la citata ordinanza la Corte di Cassazione ha affermato che “in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3) – che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti, esterni (come, nella specie, un’agenzia investigativa), ancorché il controllo non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta a tale vigilanza. Il controllo esterno, quindi, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003). Tale principio è stato costantemente ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Ne resta giustificato l’intervento, pertanto, solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017). Ai controlli al di fuori dei confini indicati ostano sia il principio di buona fede sia il divieto, di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, vigendo il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000). Risulta, dunque, erronea la sussunzione della fattispecie concreta nella norma astratta operata dalla Corte, poiché l’attività investigativa mediante controllo esterno, ancorché occasionata da analogo, pur legittimo, controllo nei confronti di altro dipendente, esplicandosi nell’orario di lavoro del ricorrente, cioè durante l’espletamento dell’attività lavorativa da parte sua, finisce con l’incidere direttamente e, quindi, al di fuori dei limiti consentiti, su detta attività (Cass. n. 23732 del 2021)”.

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