Con la sentenza del 30 gennaio 2020, pronunciata nella causa C-394/18, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta chiarendo il rapporto intercorrente tra l’azione pauliana (o revocatoria) ai sensi dell’articolo 2901 c.c. e l’opposizione alla scissione ex art. 2503 c.c.

Nel caso di specie, il giudice del rinvio (la Corte di Appello di Napoli) era chiamato a decidere sull’ammissibilità di un’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. proposta dai creditori di una società che nel 2009, con rogito notarile, aveva trasferito – nell’ambito di una scissione – parte del proprio patrimonio ad un’altra società, costituita a tal fine col medesimo atto notarile.

In primo grado il Tribunale di Avellino aveva accolto l’istanza degli attori, dichiarando l’inopponibilità nei loro confronti dell’atto di trasferimento dei beni tra le due società. In appello i convenuti si dolevano tuttavia dell’irricevibilità dell’azione pauliana, sostenendo che l’unico rimedio giuridico riconosciuto dall’ordinamento e posto a tutela degli interessi dei creditori delle società partecipanti ad una scissione fosse individuabile nell’opposizione dei creditori ex 2503 c.c.; opposizione che in tale occasione non poteva essere esercitata in quanto l’azione era stata proposta oltre i rigidi termini sanciti dalla legge.

Dato che la disciplina prevista agli articoli 2503, 2504-quater, 2506-ter e 2506-quater era stata approvata in attuazione degli articoli 12 e 19 della sesta direttiva 82/891/CEE, il giudice campano aveva operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendo ai Giudici di Lussemburgo di risolvere due questioni: con la prima si domandava se i creditori della società scissa, le cui ragioni di credito siano anteriori alla scissione e che non si siano avvalsi del rimedio dell’opposizione ex art. 2503 c.c., possano avvalersi dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. dopo l’attuazione della scissione, allo scopo di farne dichiarare l’inefficacia nei loro confronti; con la seconda si chiedeva invece se la nozione di nullità contemplata dall’articolo 19 della sesta direttiva dovesse essere intesa solo in relazione alle azioni incidenti sulla validità dell’atto di scissione ovvero anche a quelle che, pur non incidendo sulla sua validità, ne determinino l’inefficacia relativa o l’inopponibilità.

Dopo un excursus esaustivo della disciplina comunitaria e nazionale, la Corte affronta la prima questione precisando anzitutto che l’art. 12 par. 1 della sesta direttiva impone agli Stati Membri di prevedere un adeguato sistema di tutela degli interessi dei creditori della società scissa per i crediti che siano anteriori alla pubblicazione del progetto di scissione. A tal fine la norma stabilisce che i creditori debbano quanto meno ottenere adeguate garanzie, qualora le situazioni finanziarie della società scissa e della società cui sarà trasferito l’obbligo conformemente al progetto di scissione rendano necessaria tale tutela e qualora detti creditori non dispongano già di tali garanzie.

È evidente, continua la Corte, che tra gli strumenti di tutela dei creditori della società scissa non figurano le azioni pauliane; tuttavia, l’impiego dell’espressione “quanto meno” denota che agli Stati non è precluso istituire strumenti ulteriori di tutela degli interessi dei creditori, né risulta dalla direttiva che il mancato esercizio degli strumenti di tutela dei creditori della società scissa precluda a questi ultimi il ricorso a strumenti di tutela diversi da quelli elencati nell’articolo.

Dall’art. 12 della direttiva risulta dunque che la tutela “può essere diversa” per i creditori delle società di nuova costituzione rispetto a quelli della società scissa e non osta con l’obiettivo della direttiva il fatto che, nel contesto di una scissione mediante costituzione di una nuova società, la priorità sia accordata alla tutela degli interessi dei creditori della società scissa.

Questa interpretazione comporta che i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori alla scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale, possono intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione.

In merito alla seconda questione – concernente il regime della nullità della scissione – la Corte ricorda che l’art. 19 della sesta direttiva fissa un termine breve per far valere la nullità e stabilisce che, quando è possibile rimediare all’irregolarità che può portare alla nullità della scissione, alle società è assegnato un termine per regolarizzare la situazione. Tuttavia, si sottolinea l’assenza di una definizione della nozione di “nullità”. Per ovviare a ciò, i Giudici di Lussemburgo richiamano l’accezione abituale del termine, riconducendo al concetto di “nullità” le azioni dirette all’annullamento di un atto, che ne determinano la scomparsa e che producono effetti erga omnes.

Per quanto riguarda le ipotesi di nullità, la norma prevede che questa possa essere dichiarata in soli tre casi: a) per mancanza di controllo preventivo di legittimità, giudiziale o amministrativo; b) per difetto di atto pubblico; c) se è accertato che la deliberazione dell’assemblea generale che ha approvato il progetto di scissione è nulla o annullabile in virtù del diritto nazionale. Il legislatore dell’Unione ha dunque ritenuto opportuno limitare i casi di nullità, stabilendo da un lato, il principio della regolarizzazione ogni qualvolta essa sia possibile e dall’altro lato, un termine breve per far valere la nullità, al fine di garantire la certezza del diritto nei rapporti sia tra le società partecipanti alla scissione, sia tra queste ultime ed i terzi.

Da questa analisi consegue che, mentre l’azione di nullità mira a sanzionare l’inadempimento delle condizioni di formazione dell’atto di scissione, l’actio pauliana ha per oggetto solo la tutela dei creditori i cui diritti siano stati lesi dalla scissione. Nello specifico, la disciplina italiana consente, attraverso l’azione di cui all’art. 2901 c.c., di rendere inopponibile nei confronti dei creditori la scissione in questione e, in particolare, il trasferimento di alcuni beni di cui all’atto di scissione; tale azione, dunque, non incidendo sulla validità della scissione, non comportando la sua scomparsa né producendo effetti erga omnes, non rientra nella nozione di “nullità” di cui all’art. 19 della sesta direttiva.

Riassumendo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ribadito la diversità dell’azione revocatoria rispetto all’azione di opposizione alla scissione di una società, in quanto non solo rispondono ad esigenze e finalità diverse, ma divergono soprattutto gli effetti delle due azioni. Questo comporta quindi la ricevibilità dell’azione revocatoria ex 2901 c.c. intentata dai creditori di una società scissa, che intendono far dichiarare l’inopponibilità nei loro confronti dell’atto di scissione.

 

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